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July 4, 2015
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July 4, 2015
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Le banche in crisi si prenderanno i soldi dei correntisti: ieri il sì della Camera dei deputati

C. Alessandro MauceribyC. Alessandro Mauceri
Time: 4 mins read

Ieri, con 270 voti favorevoli, 113 contrari e 22 astenuti, la Camera dei deputati ha dato il via libera definitivo al decreto legge che ha trasformato in legge per gli italiani la direttiva comunitaria 2014/59/UE. Un regolamento che prevede che i governi autorizzino le banche ad effettuare il cosiddetto bail in. In base a questa norma, a partire dall’1 gennaio 2016, le banche “in crisi” potranno attingere dai conti correnti sopra i 100 mila euro, dalle azioni e dalle obbligazioni dei propri clienti-risparmiatori. La legge si applica anche in favore della banche che si trovano in crisi a causa di speculazioni azzardate e di gestioni sbagliate.  Il provvedimento, nel maggio scorso, è stato approvato dal Senato (come vi abbiamo raccontato qui). 

Di questa legge hanno parlato in pochi. Non ci sono stati servizi nei telegiornali. Al massimo, qualche articolo su pochi giornali. E, forse, il motivo per il quale non si parla di questa legge è che tale provvedimento potrebbe avere gravi ripercussioni sulla vita dei cittadini. Proviamo ad entrare nel dettaglio.

Non bastava  che le banche possono fare affari in misura molto maggiore (oltre dieci volte tanto) rispetto alle reali disponibilità  finanziarie, grazie alla cosiddetta riserva frazionata. Ora si è andati oltre: le banche che si trovano in crisi (anche quelle che hanno sperperato i soldi dei contribuenti e molto di più in investimenti azzardati risultati, poi, fallimentari) potranno “scaricare” le perdite derivanti dalla loro cattiva gestione sulle spalle dei propri clienti e prelevare i soldi dai loro risparmi. Una cosa assurda anche solo da pensare. Non si riesce a comprendere per quale motivo i clienti delle banche dovrebbero pagare per l’incapacità di operare di aziende a cui hanno affidato i propri risparmi. Anche perché un simile privilegio non è stato concesso a nessuna altra azienda di nessun altro tipo. Nemmeno agli enti pubblici o compartecipati è mai stato  concesso un simile privilegio.   

È per questo, molto probabilmente, che nessuno ne ha parlato. In realtà, che si sarebbe arrivati a tanto si sapeva da anni. Dai tempi della crisi finanziaria a Cipro, di qualche anno fa, quando governo e banche hanno deciso di chiudere, senza alcun preavviso, l’accesso ai conti correnti. Le banche si sono limitate a spegnere i bancomat e a chiudere gli sportelli. Allora nella piccola isola per poco non è scoppiata la rivoluzione. In molti hanno affermato che, con tutta probabilità, si trattava solo di una prova generale per vedere che effetto avrebbe avuto una simile misura in Paesi più grandi. E proprio in considerazione dell’effetto che ha avuto sulla popolazione si è deciso di operare in modo diverso.

Che era questa l’intenzione del governo italiano era chiaro da mesi: già a maggio il Senato aveva approvato questa legge senza proferire parola e anche allora tutto è avvenuto nel massimo riservo. Del resto, che l’Italia (come molti altri Paesi europei e occidentali) siano controllati dalle banche e da chi le gestisce non è una novità.

Da mesi si parla della decisione del governo di creare una bad bank, ovvero una banca statale sulla quale scaricare i “junk bond”, i titoli spazzatura delle banche private. Una “spazzatura” che finirà per gravare sulle spalle dei cittadini. Ma questa ulteriore forma di aiuto alle banche sta procedendo più lentamente del voluto (manca l’ok finale da parte di Bruxelles si dice proprio perché sarebbe considerato come aiuto di Stato alle banche).

Un ritardo che, evidentemente, non è risultato “gradito” alle banche (molte delle quali in “sofferenza”). Immediata la risposta del governo che, non potendo fornire aiuti dall’esterno (a meno di scatenare una rivolta e di rischiare nuovi richiami da parte dell’Unione Europea), ha deciso di farlo dall’interno. Lo ha fatto permettendo alle banche di “autofinanziarsi” e di coprire i ‘buchi’ nei propri bilanci prelevando i risparmi che i cittadini hanno sui propri conti correnti, anche senza la loro autorizzazione.

Nessuno ha detto o anche solo pensato che una simile misura è inaccettabile per il semplice motivo che i soldi dei conti correnti non sono proprietà delle banche: appartengono ai loro clienti. I correntisti si sono ‘fidati’, e hanno ‘depositato’ o dato in gestione i propri risparmi alle banche; nessuno di loro li ha ‘regalati’ o ‘ceduti’. Senza contrare che il rapporto tra clienti e banche si basa su un regolare contratto (tanto formale da essere soggetto al pagamento del bollo) che prevede regole precise e che dovrebbe garantire i clienti e i soldi da loro depositati presso le banche. Con il decreto approvato ieri, invece, il governo di Matteo Renzi e il Parlamento, zitti zitti, hanno trasformato questi contratti formali in carta straccia, permettendo alle banche di violarli, indipendentemente dalla volontà dei cittadini (di solito in questo caso basta una semplice comunicazione che viene inviata per posta ordinaria e ritenuta valida anche se mai ricevuta….).

Nessuno ha pensato che, quella che il governo Renzi, zitto zitto, ha inserito nel decreto potrebbe generare un danno rilevantissimo all’economia del Paese: che succederebbe se tutti i correntisti decidessero di non correre il rischio di veder sparire i propri soldi dalle casseforti (delle banche), dove li hanno depositati, e decidessero di metterli sotto il mattone? Una norma anomala anche perché, a conti (correnti) fatti, si tratta di favorire un settore imprenditoriale, quello bancario, rispetto ad altri (perché una banca in crisi può attingere ai soldi dei propri clienti e lo stesso non può farlo un’azienda artigiana o un’altra tipologia d’azienda?).

Una decisione importante, quella presa dal governo e dal Parlamento, ma della quale nessuno ha parlato. Tutti (o quasi) sono stati lì, zitti zitti. Anche le opposizioni che pure si sono levate sugli scudi in altre occasioni minacciando rivolte popolari, in questo caso al massimo hanno detto solo poche parole.

Nessuno ha fatto notare che, zitti zitti, celandosi dietro l’alibi della necessità di recepire una direttiva comunitaria (ma quante altre non sono state recepite e, poi, dove è andata a finire la sovranità nazionale dell’Italia?), il governo e il Parlamento del nostro Paese hanno fatto cadere un altro diritto costituzionale: quello tutelato dall’articolo 47 della Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”.

Il governo e il Parlamento hanno deciso che, in Italia, lo Stato non “incoraggerà” e “tutelerà” più il risparmio, ma le banche. E lo hanno fatto, come al solito: zitti, zitti. 

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C. Alessandro Mauceri

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