Al Festival dell’Economia di Trento si è discusso il fenomeno del gioco d’azzardo, una vera e propria macchina da soldi che riesce far guadagnare allo stato italiano circa 8 miliardi di euro l'anno (più o meno il doppio della famosa IMU sulla prima casa. Una cifra questa che pone il Belpaese al primo posto in Europa e al terzo posto nel mondo, dopo Stati Uniti e Giappone, per spesa pro-capite e che comprende soprattutto slot machines, ma anche lotto, Enalotto, gratta e vinci, bingo, casinò online e scommesse sportive. “Un fenomeno che sta assumendo dimensioni sempre più imponenti – ha spiegato al pubblico del festival Marcello Esposito, professore di International Financial Markets presso l’Università Cattaneo di Castellanza – Ma che ci consente tuttavia di trarre qualche conclusione sul nostro modello economico e, in particolare come si sono evolute le analogie tra azzardo e finanza dall’inizio della crisi economica del 2007-09. Non è un caso, ad esempio, che per descrivere le condizioni dei mercati finanziari siano oramai diventati di uso comune termini presi a prestito dal gioco d’azzardo, come ad esempio quantitative easing, iniezioni di liquidità e derivati”. Secondo i professor Esposito, il confine tra finanza e azzardo sta diventando sempre più labile. Rispetto ad altri settori, come ad esempio quello farmaceutico dove la responsabilità per danno da prodotto da un medicinale è ampiamente tutelata, nella finanza la responsabilità degli operatori si è ormai esaurita nel momento in cui al consumatore vengono fornite le informazioni sufficienti per prendere decisioni di investimento molto spesso complesse. Rispetto a trent’anni fa, oggi il processo di "finanziarizzazione" dell'economia e la deregolamentazione del settore hanno esposto i depositi dei risparmiatori a tutta una serie di speculazioni ad alto rischio, in particolare a quelle legate alle "cartolarizzazioni". “In sostanza entrambi i processi hanno amplificato il rischio invece di prevenirlo” ha dichiarato Marcello Esposto al pubblico presente, ed è qui che, secondo la sua tesi, si riscontrano le maggiori analogie tra finanza e gioco d’azzardo. “La situazione di stagnazione economica e sociale che stiamo vivendo potrebbe aver generato il bisogno di ricreare artificialmente il dinamismo perduto”. Se nella finanza il ricorso ai derivati permette di coltivare l’illusione di guadagni immediati, nel gioco d’azzardo le scommesse consentono al ceto medio di sperare nella vincita, unica forza in grado di ribaltare la precaria situazione esistente. Per Natasha Dow Schüll, ricercatrice americana, specializzata nello studio dell'interazione fra uomini, tecnologie e ambiente, quella in atto è una vera e propria trasformazione antropologica in cui "la cultura dell'azzardo si è velocemente radicata in una società che ormai connette il successo al rischio e si affida ai colpi di fortuna”.
Oltre a ciò, è da mettere i evidenza l’incredibile mole di profitti che, attraverso questo tipo di prodotti e servizi, viene realizzata in un contesto in cui, come in Italia, si opera in un regime di monopolio. “Se da un lato il gioco d’azzardo ha permesso allo stato di aumentare in maniera considerevole le sue entrate, dall’altro solleva importanti questioni di etica. C’è in sostanza, una contraddizione tra lo Stato che guadagna col gioco e lo Stato che lo regolamenta”, ha fatto notare Luigi Guiso, professore di Economia all'Einaudi Institute for Economics and Finance. Colto in una contraddizione come questa, il settore pubblico preferisce adottare l’approccio pragmatico del laissez-faire, limitandosi a chiedere ai gestori la massima trasparenza sulle regole e le probabilità di vincita. “Si fa in pratica appello alla libertà di scelta degli individui giocatori”, ha aggiunto il professor Guiso. “La campagna sul gioco responsabile, pone infatti la possibilità di fissare limiti sulle scommesse e fornisce tutte le informazioni necessarie per giocare in modo attento”. Rimane il fatto che affidarsi all’autoregolamentazione nel gioco d’azzardo, equivale ad ignorare la realtà di ciò che sta accadendo. Dall’inizio della crisi finanziaria la famiglia italiana spende in media 4000 euro in gioco d’azzardo, con una perdita secca di 1000 euro l’anno. “Per studiare il fenomeno e le sue ricadute economiche, personali e sociali, avremmo bisogno di più dati. Chi sono le famiglie che spendono nel gioco, a quale ceto appartengono, e perché? E’ difficile rispondere a queste domande perché l’agenzia di Stato che gestisce il mercato non diffonde informazioni sufficienti. Senza dimenticare che i monopoli sono molto efficienti nel tutelare l’incentivo al gioco d’azzardo, visto che quella sulle scommesse equivale ad una tassa volontaria che non crea problemi di consenso politico”.
La soluzione? A giudizio del professor Guiso basterebbe dirottare parte delle scommesse, sostanzialmente investimenti a rendimento negativo, verso fondi azionari caratterizzati da un profilo di rischio più basso. “In tal modo si contrasterebbe il gioco d’azzardo attraverso la creazione di uno strumento finanziario che consenta alle classi più povere di accedere a scommesse con rendimento atteso positivo. Senza dimenticare che il gioco d’azzardo diventa anche un problema sociale nel momento in cui induce dipendenza, impatta la gestione del risparmio e sottrae tempo ad altri usi produttivi. Tutte queste considerazioni rendono il problema della regolamentazione estremamente seria e difficile per un servizio offerto in un regime di monopolio e non di mercato. E spesso lo stato può rivelarsi più cinico del mercato”. Come nel caso dell’Italia.