L’appuntamento è per domani a Messina. L’occasione per fare il punto della situazione sul mondo dei bancari italiani. I bancari sono i lavoratori delle banche. Da distinguerli – nettamente, soprattutto sotto il profilo del redito – dai banchieri, che invece sono i padroni delle banche. L’incontro di domani nella Città dello Stretto, promosso dalla Fabi, con il suo segretario nazionale, Lando Maria Sileoni, sarà un primo test per capire se l’ipotesi di contratto nazionale firmato nelle scorse settimane da tutte le sigle sindacali con l’Associazione banche italiane (Abi) trova d’accordo i lavoratori. In Italia, almeno nel mondo sindacale, la democrazia resiste.
L’incontro di domani è importante per la Sicilia. Perché l’Isola, ormai da anni, registra, anche in questo settore, un’emorragia di posti di lavoro. Quindici anni fa, prima che le due banche più rappresentative dell’Isola – il Banco di Sicilia e la Sicilcassa – venissero ‘inghiottite’ dalle banche del Centro Nord Italia, nell’Isola si contavano quasi 30 mila dipendenti. Dopo la ‘colonizzazione’ delle banche meridionali, che peraltro ha lasciato il Sud quasi del tutto privo di un sistema creditizio di riferimento, i posti di lavoro nelle banche che operano in Sicilia sono stati praticamente dimezzati. Oggi, nell’Isola, prestano servizio circa 15 mila dipendenti, mentre le banche siciliane sono poche: praticamente le sole banche locali. Con la prospettiva che, con la riforma delle banche popolari voluta dal governo Renzi e approvata dal Parlamento, la Sicilia possa perdere anche alcune delle stesse banche popolari locali.
Insomma, non è certo un caso se il segretario nazionale dell’organizzazione sindacale dei bancaria più rappresentativa del nostro del Belpaese abbia scelto la Sicilia per questa uscita. Perché l’Isola, come tutto il Mezzogiorno, ha pagato un prezzo alto sull’altare della riorganizzazione del sistema bancario. Domani si parlerà del contratto e dei posti di lavoro. La speranza è che, nei prossimi anni, la Sicilia possa guadagnare almeno una parte dei posti di lavoro persi anche in questo settore. Ma questa è solo una speranza.
Alla firma dell’ipotesi di accordo nazionale si è arrivati dopo una trattativa sofferta. Oltre un anno di incontri e scontri tra sindacati e rappresentanti dell’Abi. Da ricordare lo sciopero del 31 ottobre del 2013, quando quasi tutti gli sportelli bancari delle varie città d’Italia sono rimasti chiusi. Una risposta a muso duro ai diktat dei banchieri. In quell’occasione i giornali hanno pubblicato una foto che vedeva il segretario nazionale della Fabi, Sileoni, con la pistola puntata alla tempia. Un gesto simbolico contro l’Abi che aveva presentato a lavoratori e sindacati la classica ‘minestra impiattata’: “O facciamo un nuovo contratto alle nostre condizioni, o altrimenti lasciamo la categoria senza contratto”.
Ma a che cosa puntavano i banchieri? L’aveva affermato chiaramente l’allora capo delle relazioni sindacali dell’Abi, Francesco Micheli: snaturare la portata del contratto nazionale di lavoro trasformandolo in una semplice cornice e lasciare ampi spazi alla contrattazione aziendale e di gruppo; ottenere consistenti risparmi sulle voci retributive, a cominciare degli scatti di anzianità e su alcune indennità, compresa quella di rischio per i cassieri (indennità legata alla responsabilità nella gestione della cassa); ulteriore ridimensionamento degli organici con penalizzazioni per i lavoratori prossimi alla pensione.
I sindacati replicavano con la richiesta di ampliare l’area contrattuale inserendo altri mestieri di medio-alta professionalità; e inoltre puntavano al recupero salariale relativo all’inflazione.
Le posizioni, per oltre un anno, sono apparse inconciliabili. Con i lavoratori che, però, non hanno mollato. Con manifestazioni varie e sit-in nelle principali città d’Italia. A Palermo, per esempio, i sindacati approfittavano dell’inaugurazione di una nuova filiale di Unicredit per contestare l’amministratore delegato di questa banca, Federico Ghizzoni.
Poi sono arrivati i giorni del disgelo. L’Abi ha riaperto il dialogo. E i sindacati pure. I numerosi incontri, però, non hanno portato nulla di nuovo. Nel giugno dello scorso anno è escito di scena Micheli. Al suo posto, come capo delle relazioni sindacali dell’Abi, è arrivato Alessandro Profumo. Ma all’inizio anche il cambio non ha sortito grandi novità. I banchieri non hanno mollato e hanno indicato come data ultima per il negoziato il 31 marzo di quest’anno: data in cui cessavano le norme contrattuali. I lavoratori, sorretti dai sindacati, hanno risposto picche e, dopo avere convocato assemblee in tutti i posti di lavoro, hanno proclamato una giornata di sciopero per il 30 gennaio, accompagnata da manifestazioni a Milano, Ravenna, Roma e Palermo.
Dopo il nuovo scontro la trattativa è stata riaperta, ma con poco costrutto. Qualcuno ha invocato l’intervento del governo. I sindacati e i lavoratori hanno risposto annunciando altre due giornate di sciopero. Contemporaneamente si è continuato a trattare. L’ipotesi di accordo è arrivata in ‘zona Cesarini’, ovvero la mattina del primo di aprile.
Cosa prevede, per grandi linee, l'ipotesi di accordo? Viene scongiurata la disapplicazione del contratto nazionale. E viene mantenuta e l’area contrattuale. Insomma, cedono entrambe le parti. Anche se la sensazione è che sul presente abbia ceduto di più l’Abi. Mentre il futuro rimane legato al rispetto degli impegni assunti dai banchieri. Il salario d’ingresso per i giovani assunti attraverso il fondo per l’occupazione è stato aumentato dell’8%; ed è stata creata una piattaforma bilaterale per la ricollocazione nel settore del personale licenziato in caso di crisi aziendali. Gli aumenti economici sono pari a 85 euro da riparametrare e avranno una scadenza al primo ottobre 2016, 1 ottobre 2017 e 1 ottobre 2018. Il nuovo contratto – se i lavoratori l’approveranno – scadrà il 31 dicembre del 2018.
Non mancano le questioni ancora aperte. A cominciare dal modello di banca e dalla creazione di nuove attività e professioni. Argomenti per i quali sono previsti confronti con i vertici delle banche, attraverso un monitoraggio periodico. Poi c’è, in prospettiva, la nuova ondata di fusioni, frutto della già citata riforma delle banche popolari.