L’€uro: un’opportunità per uscire dalla crisi. L’ultimo giro di elezioni europee, svoltesi nel maggio del 2014, ha portato alla ribalta il fronte costituito da quelle forze politiche, disaggregate e disomogenee sul piano dell’armamentario ideologico e propagandistico, che però hanno fatto della lotta all’€uro l’impegno principale della loro proposta politica. I “Podemos” spagnoli di Pablo Iglesias, “Syriza” di Tzipras in Grecia, L’Ukip di Farage in Inghilterra, Le Pen in Francia e il M5S in Italia hanno raggiunto risultati poco prevedibili nel 2009, ma che sono l’ovvia conseguenza delle ricette sbagliate che con il sostegno politico del precedente parlamento europeo a netta maggioranza di centrodestra, sono state propinate all’Europa da parte della cosiddetta “Trojka” per affrontare la grave politica economica e finanziaria che si è via via aggravata a partire dal 2007 in poi.
Mentre negli Stati Uniti Obama di concerto con la Federal Reserve si conduceva un’imponente politica di iniezione di liquidità monetaria, prima per arginare la crisi finanziaria e poi a sostegno della ripresa, in Europa proprio negli anni che vanno dal 2009 al 2012, si sono adottate misure di segno opposto che continuano in parte a permanere, imposte per motivi assolutamente ideologici, che hanno condotto a una recessione dalla quale, nonostante gli auspici del Governo Italiano, si stenta ancora ad uscire. Il momento più acuto della crisi finanziaria si è registrato nel secondo semestre del 2011 quando sotto i colpi della speculazione finanziaria non sono caduti i deboli esecutivi di nazioni tutto sommato di scarso peso economico, ma bensì il Governo della terza nazione per importanza economica dell’Europa e non seconda a nessuno per peso specifico geopolitico, cioè il Governo italiano.
Il malcontento contro l’€uro ha trovato in quell’istante forse il momento più acuto essendo individuato come responsabile della tempesta finanziaria che colpì la nostra nazione, soprattutto da quell’opinione pubblica prevalentemente orientata a destra che difficilmente era disposta ad accettare il fallimento delle ricette neoliberiste propugnate con convinzione fino a pochi istanti prima che le dimensioni del disastro finanziario da esse provocate si manifestassero in tutta la loro portata. In Italia la retorica contro la moneta unica è, di lì a poco, divenuta il cavallo di battaglia di forze politiche apparentemente contrapposte tra di loro, come la destra berlusconiana, l’indefinibile galassia grillina, la Lega Nord, diventando un comodo alibi per chi voleva scaricare sulle spalle di Prodi, e per conseguenza allo schieramento politico di centrosinistra, coloro cioè che hanno portato l’Italia nell’€uro, la responsabilità dei guai in cui ci siamo venuti a trovare in quei giorni. Ma è stata realmente colpa dell’€uro o l’€uro è diventato il capro espiatorio, l’alibi per nascondere l’insuccesso delle politiche della destra europea? In realtà, parecchi validi argomenti non solo contrastano con le convinzioni degli €uroscettici, ma danno spazio a interpretazioni di segno del tutto opposto e forniscono anche lo spunto per capire quali siano stati i veri errori per gran parte di natura politica che hanno acuito la crisi finanziaria nel 2011 e che continuano fino ad ora a ritardare l’uscita dalla crisi economica. Basta confrontare per esempio il tasso di sconto a cui noi italiani fummo costretti ad allocare i nostri titoli nel 1992 che, nonostante ci trovammo di fronte a una crisi economica di gran lunga meno grave di quella attuale, risultò molto maggiore di quello pure vertiginoso che ci ritrovammo a pagare nel novembre del 2011. Se consideriamo questo come un dato sperimentale, un riscontro in qualche modo oggettivo, difficilmente si può dire che l’€uro abbia avuto un influenza negativa sull’evolversi della crisi.
In realtà, l’influenza negativa sull’evolversi della crisi non l’ha avuta l’€uro in quanto tale, quanto la cattiva gestione politica del patto di stabilità monetaria sottoscritto dai Paesi che alla moneta unica hanno dato vita, da un lato, e la pessima condotta della BCE da parte del predecessore di Draghi, dall’altro. Sia la Bce, sia la Commissione Europea infatti, non solo non hanno preso nessuna iniziativa per arginare l’incombente frenata dell’economia, ma hanno addirittura preso misure di tipo recessivo come l’imposizione di vincoli ancora più rigidi previsti con il “six pack” al patto di stabilità, o come l’avvio di durissime politiche di ricapitalizzazione imposte alle banche, che hanno costretto queste ultime a inondare il mercato con titoli di ogni genere che hanno inevitabilmente acuito gli effetti deleteri della speculazione sui titoli di Stato.
Non vale neppure, a parere dello scrivente, l’obiezione di quanti sostengono che questo sia stato possibile a causa della perdita della sovranità monetaria da parte degli stati. In realtà , in assenza di una legittimazione da parte dell’Europarlamento sulla Commissione Europea, che ha il compito di vigilare sul rispetto del patto di stabilità, la sovranità monetaria è stata esercitata dai Governi e questi Governi, tutti di centrodestra negli anni della crisi e facenti perno sul governo tedesco di Merkel, hanno di fatto imposto una linea ben precisa alla Commissione Europea, una linea ispirata alla, chiamiamola, “diffidenza” nei confronti dei Paesi dell’Euromediterraneo, considerati impenitenti spendaccioni, solo per usare un eufemismo, e finalizzata quindi ad impedire che l’€uro potesse diventare per essi un’occasione di sviluppo e di condivisione delle (presunte) maggiori ricchezze prodotte dai paesi dell’ex area del Marco.
In questo quadro le scelte della Commissione di concerto con il Fmi, l’Ue e la Bce possono essere considerate in primo luogo la conseguenza della debolezza del Governo italiano guidato da Silvio Berlusconi che non è riuscito a difendere in alcun modo gli interessi dei Paesi di quell’Euromediterraneo di cui avrebbe dovuto essere per forza di cose il naturale punto di riferimento in qualità di terza e insostituibile gamba necessaria alla stabilità della costruzione europea. Tra le misure più paradossali votate dal centrodestra all’Europarlamento, cavalcate sull’onda della dilagante ubriacatura liberista, spicca, solo per dare un’idea di cosa stiamo parlando, la misura del six pack votata a maggioranza dal Parlamento Europeo (il Pse votò contro), che consente l’aumento della spesa pubblica netta solo quando aumenta il Pil, imponendo di fatto l’esatto contrario di quello che Giuseppe suggerì al Faraone quando interpretò il sogno sulle sette vacche magre che divorarono le sette vacche grasse. Giuseppe, come riporta la Bibbia, interpretò il sogno avvertendo il Faraone che per sette anni ci sarebbe stata abbondanza di raccolti, ma che a questi sette anni sarebbero succeduti sette anni di carestia, con raccolti magri. E suggerì al Faraone di mettere da parte il grano in eccedenza raccolto durante i primi sette anni, per sopperire alla carestia che si sarebbe verificata nei sette anni successivi. La misura votata dalla destra europea prevede invece che lo Stato possa investire quando l’economia cresce, quando invece bisognerebbe ridurre il deficit mettendo da parte i soldi per periodi peggiori riducendo il debito, e impedisce agli stati di spendere quando l’economia rallenta e ci sarebbe invece bisogno di un intervento dello stato per favorire, come Keynes insegna, la formazione della domanda aggregata di beni e servizi.
Alla luce di simili decisioni non può stupire quindi che la crisi finanziaria divampasse in tutta la sua dirompenza mettendo a serio rischio la prospettiva di esistenza dell’€uro, non tanto per gli effetti che su di esso ha avuto la speculazione finanziaria, quanto per l’immagine odiosa che ad esso è stata associata per via dei benefici indiscutibili che la crisi finanziaria che ha colpito paesi come l’Italia ha avuto nello stesso tempo per le finanze dello Stato tedesco, inondato al contrario da capitali alla ricerca di un rifugio sicuro. Per fortuna però, oltre oceano, le misure prese dall’esecutivo degli Stati Uniti di concerto con l’Istituto di emissione, la Federal Reserve, nel corso del 2011 hanno cominciato a dare quei frutti necessari per ispirare una linea alternativa a quella infruttuosa seguita dall’Europa a trazione Merkel, ispirando una gigantesca manovra di inversione di rotta che ha avuto il suo perno nell’azione del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano,e che è stato reso possibile dal mutamento dei rapporti di forza in seno all’Unione Europea, grazie alla vittoria di Hollande in Francia, allo sbriciolamento della destra italiana, alla risalita del Spd in Germania I passaggi decisivi di questa inversione di rotta sono ormai storia e ne riportiamo i principali: l’allontanamento di Berlusconi dalla Presidenza del Consiglio e soprattutto della Lega Nord dal Governo italiano nel novembre 2011, la nascita del Governo Monti che garantendo il rispetto dei patti stipulati in seno all’Unione Europea ha ridato al nostro Paese il peso politico necessario per sovvertire, durante il vertice della partita di calcio (la partita vinta dall’Italia contro la Germania agli Europei) a fine giugno del 2012, il tacito divieto imposto dalla Germania alla BCE per intervenire a difesa dei titoli di Stato dei paesi dell’€uro, il conseguente annuncio della Bce, su invito dell’Ocse nell’autunno del 2012, di un prossimo intervento nel mercato secondario a sostegno dei titoli di Stato, il cui solo annuncio ha innescato la discesa dello “spread” italiano, fino ai valori attuali, in cui agli annunci è stato dato concreto seguito con l’inizio della campagna relativa al Quantitative Easing.
Il mutamento della politica monetaria ha avuto dunque perno su Draghi ma è stato possibile grazie alla coraggiosa iniziativa dell’Italia, nella persona del suo Presidente di allora, Giorgio Napolitano, ed all’appoggio decisivo del Presidente degli Stati Uniti e del Premier Inglese in seno all’Ocse, consesso in cui i paesi dell’ex area del marco non hanno potuto giuocare quel ruolo preminente che ha consentito loro invece di influenzare nella direzione dei propri interessi, ed a scapito dei Paesi dell’Euromediterraneo, la politica comunitaria. Se però l’inversione di rotta della politica monetaria ha dato innegabili frutti nella definitiva uscita dalla crisi finanziaria, certificato dal ritorno dello spread di quasi tutti i paesi europei a valori normali, il nodo politico costituito dal permanere della deflazione e della stagnazione economica che ha inevitabilmente raggiunto anche la Germania, rappresenta ad un tempo sia il limite oggettivo degli effetti che possono ottenersi affidandosi alle sole misure di natura monetaria, da un lato, e dall’altro, e per conseguenza, l’esigenza di rivedere le regole e gli automatismi che fino ad ora hanno ispirato l’aspetto più politico dell’intesa tra gli stati che hanno dato vita all’€uro, ossia il patto di stabilità e la rigidità ad esso connessa con cui è stato interpretato.
In sostanza, si è posto, si, rimedio agli errori di Trichet e della vecchia e sciagurata gestione della Bce appiattita sui desideri della Germania, ma non si è ancora usciti dalla crisi per via delle resistenze che i Paesi dell’ex area del marco continuano ad opporre alle necessarie modifiche delle regole del patto di stabilità che con i vincoli stringenti sul bilancio degli stati, impediscono l’innesco di più vigorose politiche di sviluppo in Paesi come l’Italia o che stanno conducendo all’inevitabile fallimento paesi come la Grecia. Di fronte a questo, sembra possa sortire effetti la novità costituita dall’ottenimento della “ fiducia” in seno al Parlamento Europeo da parte della Commissione Europea che sta obbligando un organismo in precedenza investito di un potere del tutto svincolato da dinamiche di rappresentanza politica a cimentarsi con la necessità di prendere impegni per ottenere il necessario consenso per operare.
La compagine che costituisce la Commissione Europea è così venuta fuori dopo una mediazione tra socialisti e democristiani, che ha avuto nel “Piano Juncker” il suo punto di incontro e che rappresenta l’opportunità per rendere flessibile il patto di stabilità indicando per la prima volta da anni una concreta via di uscita alla politica dell’austerità propugnata dai falchi in seno al Governo tedesco. Questa via di uscita è rappresentata dalla possibilità di contabilizzare al di fuori del debito le spese per alcune tipologie di investimenti da negoziare con la Commissione che ne pianificherà l’articolazione, aprendo di fatto delle consistenti falle sul principio del mantenimento del rapporto debito/pil entro limiti invalicabili. Ma la vera speranza è che questa iniziativa del tutto inedita, nonostante il passato politico non proprio convincente dell’attuale Presidente Juncker, crei quelle condizioni che, in ragione di una nuova “prassi” istituzionale, possano fare uscire l’Europa dalla crisi economica con istituzioni europee più solide ed allo stesso tempo più equilibrate dal punto di vista dei rapporti di forza “geopolitici”, che possano quindi mediare tra le esigenze dei vari stati senza soprusi ispirati a pregiudizi ideologici o, peggio ancora, culturali e politici, destituiti di qualsiasi fondamento, recuperando in modo compiuto così quella che per molti è, con rimpianto, la sovranità monetaria perduta. Ed è anche la speranza che si possa recuperare quella vecchia saggezza che ispirò i tanto ingiustamente criticati politici italiani della prima repubblica che contrassegnarono con la loro capacità di mediare l’impossibile, la rinascita di una nazione lacerata dalle ferite lasciate da una guerra persa fino a farla diventare una delle maggiori potenze industriali, nonostante fosse per giunta divisa in un dualismo che ancora oggi è duro a morire, tra il Nord e il Sud dell’Italia. E questo dualismo che ha ispirato i nostri migliori cervelli che si sono occupati di politica, Gramsci, Salvemini, Romeo, è un po’ la metafora di un Europa oggi divisa dalla diffidenza tra i Paesi dell’ex area del marco e l’Euromediterraneo, ed unita dalla speranza in un futuro di prosperità senza conflitti. Ma questa speranza, sarà sufficiente?