Pare essere giunta al traguardo la vicenda Sorgenia: il Tribunale di Milano ha dato via libera all’accordo tra la società e le banche. Sembrerebbe un successo per l’impresa controllata dai De Benedetti che, nell’ultimo periodo, ha accumulato debiti per quasi due miliardi di euro (poco più di due miliardi di dollari USA). Una somma enorme che avrebbe causato il fallimento di qualsiasi altra impresa. A meno che a gestirla non ci sia un manager come De Benedetti.
In realtà, se da un lato è vero che la società energetica è riuscita ad evitare il fallimento, per contro, ha dovuto cedere parti rilevanti del proprio capitale sociale alle banche creditrici. Ma anche per queste l’operazione non è stata un successo. Mps, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi, Bpm e Banco Popolare e altre (sono in tutto ventuno le banche creditrici), infatti, hanno acquisito il controllo di un’azienda che non gode certo di ottima salute: qualche mese fa il Sole 24 ore a proposito di Sorgenia scriveva: “Il peccato originale per Sorgenia data da molti anni ed è stato tanto debito, poco capitale e redditività decrescente. Un mix velenosissimo. Già nel 2009, il debito superava di 10 volte il margine lordo”. Debiti che, come spesso è avvenuto nella storia delle aziende gestite da De Benedetti, non saranno pagati dalla dirigenza, ma da qualcun altro.
Le banche, molto probabilmente, dovranno attingere ai soldi dei risparmiatori oppure dovranno ricorrere ad aiuti di Stato o alle garanzie di Bankitalia. Senza contare che l’accordo siglato nei giorni scorsi ha visto coinvolte alcune banche considerate “a rischio” dopo lo Stress Test della BCE dei mesi scorsi. Un test dal quale alcune banche, come, ad esempio, Montepaschi di Siena (Pps) sono uscite malconce. Proprio Mps ha investito nell’affare Sorgenia centinaia e centinaia di milioni di euro. E proprio a questa banca tutti gli ultimi governi hanno concesso aiuti miliardari: dal governo Berlusconi al governo Monti fino, ultimo ma non ultimo, al governo Renzi.
Ma non è questo l’unico aiuto concesso dal governo Renzi all’azienda di De Benedetti. Nel 2003 il governo Berlusconi introdusse lo strumento del «capacity payment»: un incentivo pubblico concesso alle aziende che utilizzavano centrali elettriche “tradizionali”, per compensare le perdite economiche derivanti dal boom delle energie rinnovabili e dalla crisi economica (oltre che dall’abitudine di acquistare energia dall’estero).
In altre parole, lo Stato “paga” i proprietari degli impianti termoelettrici di “vecchio tipo” anche quando questi sono spenti. Un modo come un altro per aiutare aziende come Sorgenia (che, infatti, è tra le maggiori beneficiarie di questo tipo di aiuti) e che, casualmente, proprio durante il governo Renzi è stato incrementato: lo scorso giugno, infatti, il governo ha licenziato un decreto per aumentare il capacity payment.
L’Italia, grazie ai soldi dei cittadini, ha sostenuto sia le banche, anche quelle in crisi, sia alcune aziende a rischio fallimento. Aziende che, poi, hanno ceduto parte delle proprie azioni proprio alle banche che avevano ricevuto aiuti dallo Stato.
La gestione dell’ ‘ingegnere’ ha riempito spesso le prime pagine dei giornali negli ultimi decenni. Come nel “caso” Banco Ambrosiano: nel 1981, De Benedetti entrò come vicepresidente del Banco che, allora, era guidato da Roberto Calvi. Dopo soli due mesi lasciò l'istituto che era quasi sull’orlo del fallimento. De Benedetti fu accusato di essere responsabile di plusvalenze per 40 miliardi di lire e finì sotto processo (l’accusa era di concorso in bancarotta fraudolenta). Fu condannato nel processo di primo grado e in appello, ma la Cassazione annullò tutto.
L’ingegnere fu protagonista anche durante Mani Pulite, nel 1993: De Benedetti presentò al pool un memoriale su “Tangentopoli” in cui si assumeva la responsabilità di varie “vicende” e ammise di aver pagato tangenti per molti miliardi di lire a diversi partiti alfine di ottenere commesse come quelle presso Poste Italiane. Fu arrestato e liberato nello stesso giorno: da alcune accuse venne assolto, altre caddero in prescrizione.
Una carriera con luci ed ombre (più ombre che luci, a dire il vero) che, però, è valsa all’ingegnere numerosi riconoscimenti importanti. L’ultimo proprio nei giorni scorsi: Catherine Colonna, ambasciatrice di Francia in Italia, ha insignito l’ingegnere De Benedetti del titolo di 'Commandeur de la Légion d'Honneur'. L’ambasciatrice, nel conferire l’onorificenza, ha sottolineato il percorso professionale di De Benedetti che ha "trasformato la fabbrica Olivetti, allora in crisi, nella società più competitiva d'Europa".
Peccato che abbia dimenticato di menzionare che, quando De Benedetti entrò in Olivetti, questa era effettivamente un’azienda di successo. Poi, però, proprio durante la gestione dell’Ingegnere, le cose cambiarono: l’accordo con la AT&T, che avrebbe dovuto fare dell’Olivetti un colosso mondiale, finì male e, in poco più di dieci anni di gestione De Benedetti, l’azienda fu costretta ad affrontare la peggiore crisi della sua storia. Le azioni crollarono da 21mila l’una a 600 lire e migliaia di lavoratori persero il posto. L’intero distretto produttivo del Canavese subì gravi danni. Tanto che, nel 1996, De Benedetti decise di lasciare l'azienda.
Ma non basta. Il nome di De Benedetti è legato all’Olivetti anche per un’altra vicenda. A dicembre dello scorso anno la Procura della Repubblica di Ivrea ha chiesto il rinvio a giudizio di 33 dei 39 indagati nell’inchiesta sulle morti per amianto alla Olivetti. Pesanti le accuse: si va dalle lesioni all’omicidio colposo causato dalle malattie, di sospetta origine professionale, che colpirono una quindicina di lavoratori. Tra i destinatari del provvedimento, firmato dai pm Laura Longo e Lorenzo Boscagli, anche Carlo De Benedetti che, ai tempi, era amministratore delegato e presidente dell’Olivetti.
Ma questo, l’ambasciatrice francese si è guardata bene dal dirlo…