In molti ci chiediamo a quale bivio, nel percorso storico del dopoguerra, il nostro paese abbia imboccato la strada sbagliata che, in troppi, temiamo sia anche quella del non ritorno. Le versioni più gettonate sulla causa originaria del magro presente che ci affligge, mettono tra gli indiziati il ’68 con l’ascesa del potere giovanile e di quello sindacale, il terrorismo politico, il sistema di clientelismo e corruzione di Democrazia cristiana e alleati, i processi di “mani pulite”, la concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione.
L’affiatata coppia di amici e colleghi Ettore Bernabei e Sergio Lepri (Permesso, scusi, grazie, edizioni RaiEri), risponde all’interrogativo con una versione meno superficiale e insieme più inquietante, perché addita una causa ancora capace di danni. Tutto sarebbe iniziato quando venne smantellato il sistema di economia mista che consentiva alle aziende di stato di rifornire con materie prime, semilavorati e servizi infrastrutturali, a ragionevole costo, l’industria privata che aveva fatto il miracolo italiano e portato la lira all’oscar della moneta.
Nella scia dell’omicidio di Enrico Mattei, passando per mafia e criminalità organizzata, brigatismo, opposti estremismi e stragismo, arrivando al berlusconismo televisivo e partitico, si sarebbe consegnato il paese alla speculazione finanziaria internazionale, omologandolo all’interno dei mercati medi destinati al solo consumo. Privatizzazioni pilotate e a costo irrisorio per gli investitori, avrebbero arricchito un nuovo ceto manageriale e speculativo, irresponsabile rispetto agli interessi nazionali, mettendo nelle sue mani le truppe disorientate dei produttori, senza più tutele, di industria artigianato servizi.
Quel meccanismo avrebbe avuto una serie di effetti strutturali negativi. I proventi della speculazione si sarebbero accumulati sulla calamita di pochi, i più si sarebbero impoveriti pagando dazio agli speculatori, al grande management privato e di stato, ai nuovi politici. La sottocultura diffusa dalle televisioni berlusconiane avrebbe contribuito a smantellare la fiducia nel sistema di economia sociale che aveva sorretto lo sviluppo italiano e in genere europeo e nei politici che lo difendevano, fiaccando con nuovi modelli comportamentali l’energia morale su cui si fondava la famiglia (quella cristiana innanzitutto), e il suo prolungamento sociale (associazionismo, sindacati, partiti) ed economico (cooperative, aziende familiari, banche rurali e cooperative, etc.).
Posizione radicale, persino inaspettata, in due ultranovantenni che hanno operato, attraverso un brillante percorso professionale, sotto la luce dei riflettori, tra informazione e apparato politico-industriale, gravitando nell’area sociale dell’allora Democrazia cristiana (La Pira, Dossetti, Fanfani, su tutti). Si può non condividerla, quella posizione, ma bisogna riconoscere alle 400 pagine di giudizi, cronache, riflessioni su più di 70 anni di storia, forza intellettuale e morale, anche pluralista visto che Bernabei si definisce “cattolico fervente”, e Lepri “laico impenitente”. Stimola, in questi maiores, la continua attenzione al “nuovo”, ai “segni dei tempi che cambiano”, ai mutamenti che il costume e la tecnologia impongono ai modi di vivere e di fare politica, con un rimprovero alle scelte che mettono la tecnologia non al servizio dell’uomo ma contro l’uomo.
Nel libro i ricordi privati si mescolano a quelli pubblici, come nell’evocazione dolorosa delle mogli scomparse, rendendo a noi protagonisti di un paese stranito da decenni di depredazione morale oltre che economica, l’atmosfera di un’Italia “sparita” che, nel suo meglio, avremmo tutti dovuto difendere con maggiore impegno.