Ero molto piccolo quando mio padre mi portò per la prima volta a vedere il David di Michelangelo. Era la statue più conosciuta, vista e rivista nei libri di scuola, l’inno all’intelligenza contro la forza bruta. Prima di giungere difronte alla celebre statua, posta al centro della sala principale della Galleria dell’Accademia a Firenze, si passa per un corridoio dove, ai lati, come ad introdurre il capolavoro, si situano altre celebri sculture michelangiolesche. Sono i Prigioni, figure incomplete, che mostrano corpi come nell’atto di liberarsi dalla pietra, come se volessero, attraverso la plasticità e il dinamismo che li caratterizza, diventare essere umani separati dal materiale di cui sono fatti. Un atto di liberazione e di conquista al tempo stesso. Paradossalmente, anche quando tornai in seguito all’Accademia, erano i Prigioni a conquistare gran parte delle mie attenzioni. La lotta fra caos e ordine, fra dinamismo e staticità, fra autodeterminazione ed eterodeterminazione, emergeva con grande forza dalla mano dell’ artista tanto da farmi percepire molto più umani i Prigioni che il David, troppo perfetto, troppo grandioso, troppo immaginifico. In essi la tecnica di Michelangelo si percepiva chiaramente: quella “del levare”, e non “del mettere”. Sottrarre cioè dal blocco di marmo tutto quello che impediva alla figura di mostrarsi, come fosse già “imprigionata” nel marmo stesso. Un processo di rivelazione della verità attraverso un processo di sottrazione, di sfoltimento.
Quanto, ci viene da pensare, abbiamo da imparare da questo. Noi che tendiamo continuamente ad aggiungere, ad immettere, a cercare di riempire vuoti, incapaci di accettarli come parte della nostra esistenza.
Michelangelo oltre ad esprimere il suo genio individuale, ha dato luogo, insieme a tanti altri artisti, Leonardo Da Vinci in primis, ad un’idea che caratterizzerà l’identità italiana: abilità artigianali, scienza, estetica e arte. Il saper fare italiano di quel piccolo artigiano che sembra un’artista, quel gusto tipico di fare di ogni proprio prodotto un’opera d’arte, è divenuto fondamentale nel successo del Made in Italy.
Così Michelangelo, arte e scienza sbarcano a New York, come già ha raccontato puntualmente su queste pagine da Chiara Barbo. Lo fanno con la partecipazione dei quattro comuni della Versilia: Pietrasanta, Forte dei Marmi, Stazzema e Serravezza. Lì Michelangelo aveva progettato la via dei marmi che conduceva a Carrara, dove lo stesso artista andava a scegliersi i blocchi per le sue opere.

Alcuni pezzi della mostra all’Istituto Italiano di Cultura di New York
La Versilia si mostra, quindi, nella Big Apple tra passato, quello artistico rinascimentale, e tempo presente, fatto di innovazione, design, avanguardia. Perché è vero che non abbiamo la Silicon Valley, non abbiamo la Apple o la Microsoft, ma nei distretti italiani siamo ancora in grado, seppur con grandi difficoltà, di costituire isole di eccellenza. Non tanto la Versilia delle grandi spiagge e delle discoteche ma quella che si distingue per la lavorazione dell’”oro bianco” e del suo restauro. Laser di altissima qualità che permettono, restauri, a primi vista, impossibili o d’emergenza, come quelli occorsi durante l’allestimento della mostra stessa, quando due opere si sono rotte e grazie all’intervento di Maria Scaligi, direttore tecnico di RestauroItalia , sono state aggiustate.
Sì perché nel restauro non siamo secondi a nessuno. Sarà anche perché il nostro patrimonio artistico ci ha obbligati a trovare modi per mantenerlo, ma all’esigenza si affianca la maestria di tanti piccoli “michelangeli" che ogni giorno fanno tornare un’opera d’arte allo splendore iniziale. Qualcuno forse si ricorderà delle volte della basilica superiore di Assisi distrutte dal terremoto del 1997 che oltre ai grandi danni artistici provocò la morte di quattro persone presenti all’interno della chiesa. Nel 2006 la basilica riapre e torna il suo splendore. Quasi mezzo milione di frammenti sono stati raccolti e risistemati. Un lavoro che richiede cura, attenzione e una passione fuori dal comune.
Questi esempi per ricordare quelle eccellenze che a volte ci dimentichiamo, sommersi dal mare delle cattive notizie.
Una mostra, quella versiliese a New York, simbolo non solo della bellezza di quanto esposto (tra le altre opere ci sono tre disegni dello stesso Michelangelo), ma piuttosto di un modo di essere e di fare che ci identifica e di cui in questo caso godranno i newyorkesi e, speriamo, i numerosi italici lì presenti a presenziare numerosi.