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June 12, 2014
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Padoan e l’Italia dei miracoli

Francesco SemprinibyFrancesco Semprini
Time: 4 mins read

“Chi non c'è ci vuole andare, chi c'è ci vuole rimanere, anzi vuole allargarsi”. A sentire la parole del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, sembra quasi di trovarsi dinanzi a un incantesimo, gli americani hanno una grande voglia d'Italia e danno credito alle potenzialità del suo attuale establishment. Premiano evidentemente la compattezza con la quale l'elettorato ha deciso di credere nelle riforme e negli sforzi di ripresa, insomma di imboccare la strada del riscatto nazionale senza cedere alle tentazioni populiste grilline.

“Negli Stati Uniti c'è una grossa apertura di credito verso l'Italia”, dice il titolare di via XX Settembre al termine della missione in USA che lo ha visto a colloquio con il collega americano, Jacob Lew, e importanti investitori, fra i quali il numero uno di BlackRock, Larry Fink, e l'entourage di Warren Buffett. Un sorta di road map per l'Italia anche in vista del semestre di presidenza dell'Unione europea, che sembra aver sortito gli effetti sperati, visto che a detta del ministro negli USA c'è curiosità, una curiosità positiva, non contaminata da quel germe di diffidenza che troppo a lungo, in tempi recenti, ha condizionato i rapporti col nostro Paese. 

Padoan parla di potenziale “circolo virtuoso”, ovvero di “sprone per andare avanti con le riforme”, elemento questo che fa gioco al ministro stesso e al governo che lui ha rappresentato qui in questi giorni.

Sia ben chiaro, nulla cambia sulle prospettive di crescita che rimangono quelle contenute nel Documento economico e finanziario, ma dagli USA è arrivata quasi una benedizione post-voto e pre-UE che sembra conferire ulteriore forza all'esecutivo di Matteo Renzi. Ma quanto durerà tutto ciò? Potenzialmente a lungo, ma a delle condizioni, alcune legate a doppio filo alla situazione interna, altre che rientrano in una sfera più ampia, quella che gravita sull'asse Berlino-Francoforte. La prima fattispecie la identifica lo stesso Padoan quando dice dapprima che “il clima è cambiato perché c'è un governo stabile e forte”, e successivamente che “c'è stato molto interesse sul programma di privatizzazioni”. Cosa vuol dire questo? Semplice, che il governo è in prima istanza artefice del suo futuro, ovvero è lui in primis che rischia di far svanire l'“Italian dream”, facendo venire meno quella stabilità che lo rende forte, o fallendo sul suo piano di rilancio che passa, fra gli altri programmi, per le famose privatizzazioni.

Sino ad allora l'idillio durerà, non ci saranno tempestive prese di profitto da parte di investitori intimoriti, e tanto meno fughe ai ripari. L'altro aspetto riguarda invece l'Europa, o meglio una certa Europa. La missione in USA di Padoan è stata preceduta (e alle coincidenze temporali non ci crediamo molto) da un singolare affondo del Frankfurter Allgemeine Zeitung, testata tedesca (non potevamo aspettarci diversamente) che accusava il ministro di non voler parlare di risparmio. Padoan ha spiegato ai falchi dell'austerity che “la sostenibilità del debito statale e la sua riduzione, dipende dalla crescita, perché la crescita abbassa il debito, contrasta il fenomeno della disoccupazione, attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, ed è conciliabile con il consolidamento delle finanze statali”. Il ministro ha poi tenuto a precisare che “l'Italia ha da molti anni un saldo attivo del bilancio primario”, e soprattutto che “spingere l'UE su un percorso di crescita maggiore è interesse di tutti gli Stati membri, per garantire un futuro migliore agli europei, anche a quelli che stanno bene”. Sarà che forse a Berlino brucia ancora la recente riduzione dei tassi decisa dalla Banca Centrale Europea, una misura che secondo gli schemi teutonici dei “panzer” del cancellierato è stata definita di “tassi punitivi”. Proprio ieri mentre Padoan si dava da fare in America il presidente di Eurotower, Mario Draghi, incontrava Angela Merkel: sembra che fra i due non vi siano state scintille, anzi, la cancelliera ha detto che “le recenti misure dimostrano che la crisi non è completamente superata”. Quanta grazia!

Certo la BCE ha fatto quello che altre banche centrali avevano fatto da tempo, ovvero creare una rete di protezione da cui ripartire. Sarà stato il fatto che lo stesso ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, proprio nel corso di un incontro con Padoan a Berlino, aveva liquidato la discussione in Germania sui tassi bassi come “esagerata”, facendo infuriare i falchi dell'austerity alemanna che avevano accusato a loro volta Draghi di “furto ai risparmiatori tedeschi”. Di qui l'attacco del Faz. Curioso il fatto però che ieri dalla cattedra di Berlino la signora Merkel si sia lanciata in una letio magistralis di economia spiegando “l'importanza in questa fase del contributo politico che deve essere quello di continuare risolutamente sul percorso delle riforme”. Vien da chiedersi: la cancelliera si sarà mai chiesta se le riforme sono state bloccate dall'austerity applicata linearmente all'Europa? O se si aiuta ad attuarle dando del ladro a Draghi perché finalmente cerca di agevolare una crescita organica dell'Europa intera? I tedeschi si diano pace e affinché l'“Italian dream” degli americani duri a lungo speriamo che questo inedito asse Padoan-Schauble consenta a Francoforte di fare quello che deve, e all'Italia di essere il posto dove “chi non c'è ci vuole andare, chi c'è ci vuole rimanere, anzi vuole allargarsi”.

 

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Francesco Semprini

Francesco Semprini

Francesco Semprini è inviato internazionale per La Stampa. Nato e cresciuto a Roma si è trasferito vent'anni fa a New York dove ha perfezionato gli studi economici, per poi occuparsi di politica e finanza americana. Ha trascorso l'ultimo decennio raccontando conflitti e crisi geopolitiche da tutto il mondo. Tra le altre quelle in Iraq, Afghanistan, Siria, Venezuela, Libano, Kosovo, Libia, Pakistan, Haiti. E' corrispondente presso le Nazioni Unite da dove scrive di relazioni diplomatiche. Francesco Semprini is a long time international correspondent with La Stampa. Born and raised in Rome he moved to New York twenty years ago. He spent the last decade covering geopolitical crises and conflicts around the world. Among the others in Iraq, Afghanistan, Syria, Venezuela, Lebanon, Kosovo, Libya, Pakistan, Haiti. He is based at the United Nations from where he writes about current and diplomatic affairs.

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