Matteo Renzi prosegue spedito e con fare sicuro (almeno è quello che vuol dare a vedere) nell'attuazione del programma di governo, forte di un consenso che, per ora, sembra tenere. Un consenso che travalica non solo i confini nazionali, ma quelli continentali, e trae forza da Washington. Non parliamo della Casa Bianca, che in qualche modo ha già espresso la sua fiducia al giovane premier, ci riferiamo piuttosto al Fondo monetario internazionale, quella istituzione nata con gli accordi di Bretton Woods, e che proprio quest'anno celebra i suoi settanta anni. Dalle rovine della crisi recente è emerso che avere l'appoggio del Fmi, è fondamentale non solo per trovare il coraggio di proseguire col risanamento, ma è anche essenziale per illuminare gli investitori internazionali, e quindi ridare ossigeno monetario ai Paesi in difficoltà. Un appoggio che nell'ultimo lustro è mancato nel caso italiano con una continuità quasi disarmante, talvolta suscitando sospetti, ma che questa volta, in occasione dei recenti lavori primaverili di Fmi e Banca mondiale, è sembrato esserci.
Qualcosa è cambiato nei confronti dell'Italia di Matteo Renzi. O sarebbe il caso di dire nell'Italia di Pier Carlo Padoan? Il ministro dell'Economia, è una vecchia conoscenza del Fmi, dove ha ricoperto l'incarico che attualmente è di Andrea Montanino, e senza dubbio il suo nome è legato a lieti ricordi, almeno tra i corridoi dell'Istituzione. Ebbene il professor Padoan (personalmente ho avuto modo di incrociarlo durante i miei studi di Economia e Commercio a La Sapienza) è secondo l'Fmi l'uomo adatto alla cabina di regia economica italiana, ed è giusto per dar corpo alle ambizioni di rinascita di cui si fa portatore Renzi. Quindi, per sillogismo, Renzi è la persona giusta per l'Italia. Un sillogismo che il Fmi ha rilanciato a più riprese durante gli «Spring Meetings», così come i ministri delle Finanze e i banchieri centrali che si sono incontrati nei summit di G-7 e G-20 durante la sessione. Del resto che ci sia una ripresa è innegabile, pur sempre cadenzata dai ritmi nostrani, ovvero un miglioramento della crescita col Pil che sale quest'anno dello 0,6% e nel 2015 dell'1,1 per cento.
La prima benedizione giunge così in favore del Documento Economico e Finanziario da parte di Aasim Husain, coordinatore del Dipartimento europeo del Fmi: «In base a un «primo esame rapido» il Def sembra «positivo, con il riequilibrio dei conti che è essenziale per la crescita», spiega ribadendo ancora una volta che «i tagli alla spesa e alle tasse in Italia devono essere permanenti e non una tantum». Ma dell'esecutivo di Matteo Renzi «viene accolta con favore l’enfasi» sulla riforma del mercato del lavoro. Del resto Padoan ha perorato con cura l'italica causa spiegando che il Paese ha oggi uno dei conti di bilancio più sostenibili fra le economie evanzate», vanta «importanti potenzialità» ed è visto con estremo interesse da un’ampia platea di investitori in attesa solo di ulteriori «conferme definitive di un cambiamento». La pubblicità è l'anima del commercio, e un navigato economista come Padoan lo sa: ecco allora la strategia di marketing a tutto campo, partendo dai tagli della «spending review»: «Saranno ampi e permanenti – dice il Ministro – questo significa che avremo più risorse e cambieremo il modo in cui il settore pubblico spende sia sul piano centrale che locale». Si prosegue con gli stipendi dei manager: «Cambierà il modo in cui i dirigenti pubblici saranno retribuiti, non è solo una questione di tagliare gli stipendi ma di legarli alla produttività», e questo vale nel governo come nelle partecipate. Per continuare con la più grave di tutte le emergenze: «Per descrivere l’occupazione dico solo due cose, riforme radicali e semplificazione, si tratta di portare più giovani permanentemente nel mercato del lavoro, facilitare il loro ingresso e muoversi verso contratti più semplici». Questo richiede un enorme sforzo politico, viene fisiologicamente da dire a Padoan. Detto fatto: «Non a caso – sottolinea il ministro – le riforme istituzionali sono un capitolo centrale del nostro programma».
Saper vender il «sistema Italia» è, in questa fase, essenziale anzi vitale, visto che nonostante si parli di progressi il Paese resta fanalino di coda fra le economie del G-7, destinato persino a farsi superare nel 2015 dalla Grecia, con Atene che crescerà del 2,9 per cento. Fra i nodi che l'Italia deve sciogliere c'è quello del credito da rilanciare e che potrebbe avere un potenziale impatto sul «Pil del 2% e oltre», ma soprattutto la crisi del lavoro. Il Fmi stima per l'Italia un tasso di disoccupazione del 12,4% nel 2014 e dell'11,9% nel 2015, maggiore della media dell'Eurozona dove comunque la «disoccupazione resta a livelli inaccettabili». Sulla questione si fa sentire il direttore del Fmi in persona, Christine Lagarde, la quale avverte che in Italia è necessaria un'inclusiva riforma del lavoro, così come lo è negli altri Paesi dove una significativa quota della popolazione, soprattutto giovani, è sottoccupata o disoccupata.
Insomma la «grande piaga» rimane in tutta la sua gravità, ma anche su questo Padoan mostra «fair play» da mediano (il termine calcistico è d'uopo vista la fede sfegatata del ministro per la A.S. Roma) e rilancio da regista. «Le prospettive economiche sono migliorate dalla seconda metà del 2013», dice Padoan, spiegando come «il nuovo governo sta rafforzando il processo di riforme per far sì che la ripresa sia più robusta e sostenibile nel medio termine». «Sul lavoro – ammette – è ancora emergenza: «La disoccupazione in Italia è più elevata che altrove, le componenti strutturale, giovanile e femminile sono preoccupanti». Certo si sa che la ripresa ha effetti differiti sull’occupazione, ma «le riforme strutturali del Jobs Act accelereranno l’effetto positivo di crescita dei posti di lavoro.- chiosa il ministro – Si costituirà, mi auguro, quella che chiamo interazione virtuosa tra andamento economico e riforme». Un'alchimia sulla quale l'Italia, Repubblica fondata sul lavoro, si gioca la sua stessa accezione costitutiva.