Lunedì nella bella sede romana di Eief, Einaudi Institute for Economics ad Finance di Banca Italia, è stata presentata la proposta elaborata da Action Institute, per migliorare l’accesso al credito delle imprese italiane piccole e medie. Action, un progetto al quale lavorano gratuitamente professionisti accademici e dirigenti d’azienda, ha dedicato la sua prima iniziativa esterna ad una questione, l’accesso al credito, che sta da anni strozzando la piccola e micro impresa nazionale, ossatura portante della nostra economia. Le banche sembra siano piene di denaro, che però non prestano alle imprese, temendo che, nel clima di recessione e scarsi consumi, queste non vendano né incassino, generando ulteriore accumulo di sofferenze e insolvenze per il sistema bancario.
Action ritiene di aver trovato la ricetta: rafforzare i risultati sperimentati con il Fondo di garanzia attraverso uno strumento finanziario capitalizzato con €10 miliardi provenienti dai fondi strutturali europei che potrebbe iniettare liquidità per €100-150 miliardi nel sistema: un’operazione di capital relief e di abbattimento del costo del finanziamento delle banche completamente scalabile, che risolverebbe il credit crunch, rimuovendo, rispetto ai competitori europei, il maggior costo del credito legato al rischio Italia. Nel gruppo di operatori, accademici, intermediari del credito ai quali la proposta è stata presentata, non sono mancati interrogativi, tra l’altro sulla posizione della Commissione europea, ma si sono registrati soprattutto consensi.
Si è ritenuto che la tenaglia nella quale si trovano le nostre piccole e medie imprese, (prevedibile riduzione per 150-200 miliardi del portafoglio prestiti delle banche, contro un bisogno di credito imprenditoriale per il fabbisogno di investimenti che nel prossimo quinquennio oscillerebbe tra 90 e 196 miliardi) vada allentata con misure sinora non sperimentate, e che quella di Action corrisponda all’esigenza. Il differenziale tra Italia e concorrenti del centro-nord Europa, in quanto a costo del credito bancario, viene contenuto e presumibilmente annullato nello schema di Action. Inoltre la proposta Action di collaborazione pubblico-privato, che includerebbe anche le istanze Ue, fornirebbe un esempio, politicamente utile, nel segno dell’interesse generale anche occupazionale. Le Pmi fanno il 71% del Pil, prodotto interno lordo italiano (54% in Germania, 56% in Francia, 50% nel Regno Unito) e l’80% dell’occupazione; salvaguardarne la capacità di tenuta e arrestarne il declino significa di fatto gettare una ciambella di salvataggio all’intero paese. Sono solo cinquemila le aziende con fatturato superiore ai 50 milioni di euro, mentre va oltre le centomila unità il numero di imprese che fatturano tra 2 e 50 milioni e i 4 milioni quello delle microimprese che fatturano meno di 2 milioni.
Rende credibile la proposta anche la caratura dei personaggi coinvolti nell’Action Institute. La presidente Carlotta De Franceschi, summa cum laude in Business Administration alla Bocconi e Mba ad Harvard Business School, è rientrata in Italia da undici anni di vagabondaggio finanziario tra New York e Londra in Goldman Sachs, Morgan Stanley e Credit Suisse con la volontà di contribuire a smuovere le acque stagnanti del rapporto tra finanza e impresa. Con la sua squadra, punta a ad un’innovazione che, in piena indipendenza, sappia impattare dove si rende necessario. Ha tenuto a definire l’Istituto apolitico e apartitico, e descritto i suoi membri e dirigenti come persone che detengono competenze comparate e sperimentate. Potrebbe essere nato, nel tiepido inizio di autunno romano, un progetto che darà ossigeno alle imprese e tranquillità al sistema bancario.
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