Migliaia di famiglie, soprattutto afroamericane e con redditi limitati, vivono senza acqua corrente perché, a causa di affitti inaccessibili, sono costrette ad abitare in edifici fatiscenti. Lo evidenzia una nuova ricerca condotta dal King’s College London e dalla University of Arizona, pubblicata su Nature Cities, mentre l’amministrazione Trump propone tagli del 90% ai fondi federali destinati alle infrastrutture idriche.
A Portland, le famiglie prive di accesso all’acqua sono cresciute del 56% dal 2000 e oggi il 72% di chi ne è privo vive in aree urbane. Dal 2017 il fenomeno si è ampliato in ampiezza e gravità, in particolare a Phoenix e Houston, evidenziando forti disparità razziali.
Secondo gli autori dello studio, serve una riforma strutturale delle infrastrutture abitative e dei programmi di sostegno, per garantire l’accesso universale all’acqua, in linea con gli Obiettivi ONU di sviluppo sostenibile (SDG6).
Nelle regioni dei Grandi Laghi, il taglio colpirebbe duramente Stati come New York, Illinois e Michigan, mentre in West Virginia è previsto un calo dell’89% nei finanziamenti per strutture idriche e fognarie.
Lo studio propone di migliorare la raccolta dati sui distacchi, ampliare i sussidi per il pagamento delle utenze, vietare le interruzioni di servizio per le famiglie in difficoltà e dare priorità al collegamento idrico delle abitazioni degradate.
Serve un intervento urgente, politico e infrastrutturale, per affrontare una crisi che non riguarda solo la disconnessione digitale, ma il diritto fondamentale a un’abitazione dignitosa.
Nel frattempo, organizzazioni come Food & Water Watch definiscono la proposta di Trump una “malevola negligenza verso la salute pubblica”, denunciando il rischio di privatizzazione delle risorse idriche, con costi più alti e servizi peggiori.
Anche NACWA, la principale associazione degli enti idrici, ha lanciato l’allarme, avvertendo che i tagli comporterebbero ritardi nei progetti, costi maggiori per i cittadini e il rischio di non rispettare gli standard federali.