Una piccola associazione nata nei lontani anni ’60 per decisione di un minuscolo gruppo di intellettuali, ex partigiani e antifascisti torinesi, ebrei e non ebrei, sta cominciando a trovare una voce inaspettata nel dibattito sulla tragedia di Gaza.
Nato attorno a una serie di ideali comuni, il gruppo di Sinistra per Israele è cresciuto nel corso degli anni e ha visto aggiungersi all’elenco degli aderenti uomini politici come Giorgio Napolitano, firmatario del primo appello, Piero Fassino e Furio Colombo. Soprattutto dopo che, all’inizio degli anni Ottanta, c’è stata la crisi del Libano ed è esploso il problema della frattura tra una certa sinistra univoca nel suo appoggio alla causa palestinese e il mondo ebraico, l’associazione ha iniziato a cercare un terreno di incontro, ha lanciato iniziative via via più ambiziose a favore del dialogo e della pace. Un impegno diventato più imperativo dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 e l’inizio della guerra a Gaza. Adesso, il suo presidente è Emanuele Fiano e le sue prese di posizione sulla drammatica situazione attuale, spesso ignorate dalla stampa, cominciano ad avere un impatto anche nelle controversie che dividono il mondo politico italiano.

La Voce di New York ne ha parlato con Ariel Dello Strologo, ben conosciuto avvocato e uomo politico genovese, che è membro del consiglio direttivo di Sinistra per Israele. È stato presidente del Porto Antico dal 2009 al 2017, candidato alla carica di sindaco nel 2022 ed è da sempre impegnato in diverse istituzioni locali e nazionali ebraiche.
Che cosa è cambiato per la vostra associazione dopo il 7 ottobre?
“Direi che per anni avevamo sepolto il problema e il 7 ottobre è stato un brusco risveglio. L’attacco è stata la reazione orribile ed esecrabile di una parte del mondo palestinese che aveva scoperto che gli accordi di Abramo e, in particolare, quello che doveva essere firmato tra Israele e l’Arabia Saudita avrebbero avuto l’effetto di mettere i palestinesi definitivamente in un angolo. Quindi l’idea che il problema fosse scomparso era sbagliata: era solo sottoterra e pronto a esplodere nel mondo peggiore”.
Qual è stata la conseguenza?
“Quello che abbiamo osservato è che da un lato, c’è stata una iniziale solidarietà nei confronti di Israele e, allo stesso tempo, in modo molto veloce, è nato un fortissimo movimento di opinione che è stato di certo alimentato dalla nuova capacità di parte del mondo palestinese di manovrare l’opinione pubblica con molti più mezzi di quanti ne avesse prima, grazie anche all’impegno del Qatar. Questo movimento ha trovato terreno fertile nelle grandi masse ideologizzate, soprattutto giovanili, in Europa come negli Stati Uniti, che hanno letto quello che succedeva con sguardo nuovo, dove il grande cattivo è il mondo capitalista, imperialista e razzista, responsabile di un sistema dove ci sono tante persone che vengono sfruttate, oppresse e umiliate per permettere ad altre di vivere nella ricchezza. In realtà, c’è molto di vero perché il mondo capitalista è in effetti un mondo ingiusto e in un momento di grande tensione internazionale la crisi esplode nei luoghi cerniera del mondo, tra cui Israele, l’Ucraina e, anche se ce ne accorgiamo poco, l’Africa”.
Qual è la vostra posizione?
“La sinistra si schiera in maniera brutale contro Israele perché forse lo vede come il modello di questa società capitalista e aggressiva, lo perdona meno di quanto perdoni un macellaio qualunque come Putin. E in più c’è la questione dell’antisemitismo che, come sappiamo bene, cresce ogni volta che c’è una crisi, per cui non tutte ma almeno una parte delle accuse nascondono anche un antisemitismo storico.
“Poi è anche evidente che Israele ha fatto dei grossi errori, prima con l’occupazione, poi agevolando Hamas con l’idea che questo avrebbe impedito il consolidarsi dell’Autorità Palestinese e infine con questa guerra folle, che punta a far passare come normale e accettabile cercare di distruggere Hamas con la morte di decine di migliaia di persone innocenti. Per non parlare dell’ultima parte con la carestia. E quindi è chiaro che anche chi nella sinistra è vicino a Israele non può restare indifferente. Bisogna impedire una demonizzazione di Israele che arriva al punto di pensare che sarebbe meglio che non esistesse, ma non si può tacere di fronte a quello che è successo e sta succedendo. La nostra è una posizione di difesa di tutte quelle forze di opposizione che esistono in Israele e che sono state lasciate molto sole”.
Quali possono essere, secondo voi, gli strumenti utili?
“La situazione sta cambiando. Da un lato, anche i difensori di Israele hanno cominciato a farsi delle domande; dall’altra parte, l’escalation dell’odio, anche con l’omicidio dei due giovani diplomatici a Washington, sta portando la sinistra a farsi delle domande. Il 7 giugno ci sarà una grande manifestazione, chiamata dai tre partiti della sinistra con una una piattaforma accettabile, ma che non menziona quella parte buona di Israele che si batte per la liberazione degli ostaggi e per la pace. Per questa ragione Sinistra per Israele ha scritto una lettera aperta a Schlein, Conte e Fratoianni facendo presente che nel programma mancano alcuni punti. Subito dopo Renzi e Calenda hanno fatto delle dichiarazioni che in pratica chiedevano le stesse cose. Il centro sinistra, in sostanza, ha detto alla sinistra che cosa dovrebbe fare. Per noi, piccola associazione, è stato un grosso successo il fatto che le nostre posizioni siano in questo momento al centro del dibattito politico. Io non credo che le nostre richieste saranno alla fine accettate e personalmente andrò comunque alla manifestazione perché voglio che questa guerra si fermi, perché non colpisce solo gli israeliani e i palestinesi, ma anche noi. Per questo motivo abbiamo lanciato un’iniziativa per creare un centro di discussione aperta tra gli ebrei italiani, indipendente dalle istituzioni, in cui ognuno possa esprimere liberamente le sue opinioni e si sta organizzando per il 29 giugno una grande manifestazione interna del mondo ebraico, che si chiamerà “Dialogo Ebraico”, e in cui verranno messe in discussione tutte le posizioni”.
E niente. Piaccia o no, noi ci siamo pic.twitter.com/pZGpShxt7p
— Sinistra per Israele 2 popoli 2 Stati (@SinistraXIsrael) May 27, 2025
A Gaza ci sono state diverse proteste contro Hamas. Pensate che sia possibile per voi aiutare in qualche modo i palestinesi, sia in Cisgiordania che nella Striscia?
“È molto difficile perché da un lato è facile mettersi in contatto con una realtà che, nonostante tutti i suoi difetti, è comunque democratica, dove vengono rispettate le norme fondamentali di un Paese libero come è Israele e un altro conto è avere un contatto con una realtà tutta diversa. Il problema non riguarda tanto la Cisgiordania, dove ci sono moltissime organizzazioni israelo-palestinesi e NGO e c’è comunque un dialogo. Con Gaza è diverso: la popolazione è irraggiungibile perché le frontiere sono chiuse e non entrano neppure i giornalisti. Bisognerebbe consolidare il mondo non-Hamas e, pur sapendo quante criticità ci sono, cercare di ricostruire il dialogo con le persone. Però è chiaro che per permettere ai palestinesi di liberarsi di Hamas ci vogliono altre cose. Hamas esiste perché qualcuno procura loro le armi, perché c’è una contrapposizione a livello di politica internazionale per cui ci sono dei fronti contrapposti che si combattono. Quindi non è pensabile che sia sufficiente distruggere Hamas fino all’ultimo uomo per eliminare il problema perché rimarrà una popolazione disperata che odierà Israele e gli ebrei e sarà pronta ad accogliere il prossimo Hamas come la sua guida”.
Negli ultimi giorni l’atteggiamento dell’Europa è diventato più duro. Potrà servire a favorire una fine della guerra?
“Questa è una domanda molto delicata perché la storia ci ha insegnato cose diverse. Ci ricordiamo tutti della Perfida Albione quando l’Italia era andata a conquistare l’Etiopia e la Società delle Nazioni l’aveva condannata, ma Mussolini aveva ricompattato il Paese scagliandosi contro “i cattivi”. Adesso è possibile che l’irrigidimento europeo possa avere un effetto ricompattante in Israele. Però è anche vero che in questo momento Israele non sembra avere da solo le forze per ribellarsi a una situazione come questa, nonostante molta gente vada alle manifestazioni di piazza. Non possiamo augurarci una guerra civile. Quello che è certo è che bisogna mettere in un angolo Netanyahu e, secondo me, ci si può arrivare. In Sudafrica, per esempio, le sanzioni hanno funzionato. E di sicuro bisogna fare in modo che non arrivino più armi, ma questo vale anche per Hamas, gli Houti e Hezbollah”.
Sinistra per Israele ha sempre sostenuto la soluzione dei due Stati. È ancora possibile?
“Il paradosso è che non siamo mai stati più lontani da questa conclusione, ma contemporaneamente è evidente che è l’unica soluzione possibile. Nel senso che, a meno che non si sposino le teorie folli, come quella secondo cui tutti i palestinesi devono sparire o andare a vivere in Egitto o in Giordania, o l’altra per cui tutti gli israeliani devono essere buttati a mare o devono “tornare da dove vengono…”, non si sono altre possibilità. Uno Stato unico, in cui israeliani e palestinesi siano vicini, votino allo stesso Parlamento e abbiano un governo unico, non è ora una alternativa. E non si può neppure pensare alla continuazione dell’occupazione militare, che l’opinione pubblica non sarebbe più disposta ad accettare. Quindi per conto mio non ci sono alternative e per altre due o tre generazioni non ci saranno altre ipotesi. Bisogna che nascano dei bambini senza memoria della violenza dei loro nonni. La verità però è che tutto questo potrebbe essere possibile solo se i grandi della terra smettessero di soffiare sul fuoco invece di aiutare a trovare una soluzione. Sappiamo tutti che Israele e la Palestina potranno trovare una soluzione solo se insieme a loro lo vorranno gli Stati Uniti, l’Iran, la Russia e la Cina. Ci sono dei progetti interessanti come quello di Olmert. Si parla di una confederazione. Speriamo solo che non debba morire troppa gente prima che si cominci a far sul serio!”