Una politica senza freni. Erratica e capricciosa, ma soprattutto mirata a strappare quanto più potere possibile, calpestando regole e istituzioni, usata come arma da Donald Trump per intimorire quanti non si piegano alla sua scalata all’egemonia presidenziale.
La Casa Bianca sta mettendo in pratica la visione politica di Russell Vought, che il presidente ha chiamato a dirigere l’Ufficio per la Gestione ed il Bilancio, principale autore di Project 2025 che è la Road Map che l’Amministrazione sta seguendo. Non Trump personalmente, che convinto di essere ancora nel suo show “The Apprentice”, decide d’istinto. Un fatto questo che combacia perfettamente con le teorie di Project 2025 che basa la trasformazione della presidenza sull’aperto disprezzo del capo della Casa Bianca sulle istituzioni che lui vuole sconvolgere.
La teoria del Project 2025 sostiene che il Congresso, data la sua natura politica partigiana, non sappia usare il proprio potere smarrendosi in faziose idiozie. Una lacuna che può essere facilmente colmata da un presidente che si fa beffe delle istituzioni. Ma per far questo è necessario rimodellare la burocrazia e l’apparato giudiziario federale che, sempre secondo Vought, sono strumentalizzati da quelli che lui definisce “marxisti radicali”. Per raggiungere questo scopo Trump ha lanciato la sfida alle istituzioni di controllo: ha ripetutamente messo in discussione l’autonomia della magistratura, del Congresso e della stampa libera, trattandoli come ostacoli piuttosto che come poteri indipendenti. Ha chiamato i suoi oppositori “nemici interni”. Ha personalizzato il potere presentandosi come l’unico rappresentante legittimo del “vero popolo americano”, sminuendo il ruolo delle istituzioni e delle regole condivise. Rifiuta le regole consolidate del sistema democratico, ad esempio non riconoscendo il risultato elettorale del 2020 e fomentando con un mare di bugie l’idea che le elezioni fossero truccate. Tentando di influenzare la giustizia cercando più volte di intervenire direttamente sulle indagini che lo riguardavano o a delegittimarle. Tutti i processi in cui è stato coinvolto e incriminato, e in uno anche condannato, da quelli per diffamazione a quello dei pagamenti in nero, del valore “gonfiato” dei suoi immobili, delle carte top secret portate a Mar A Lago e nascoste, al tentativo di insurrezione del 6 gennaio, erano parte di una persecuzione politica. Lui, vittima della magistratura deviata. È riuscito a sopravvivere vincendo le elezioni, grazie alla sua figura carismatica che ha accecato gli elettori che lo ha messo sopra la legge.
Una visione del potere al di sopra delle regole, quindi, con una base di fedelissimi che gli resta leale indipendentemente da ciò che il presidente dice e fa.
In questa operazione si è inserito Elon Musk che, utilizzando X e i suoi soldi, si è gettato in aiuto di Trump, il quale lo ha incaricato, creando senza l’approvazione del Congresso, un fittizio Dipartimento per l’Efficienza Governativa, per “privatizzare” l’apparato federale, trasformando la burocrazia in una impresa di servizi con la scusa di eliminare i debiti accumulati da più di trent’anni (che hanno avuto una impennata dopo che Trump ha concesso i tagli fiscali ai più ricchi d’America). E ora la pioggia di licenziamenti, sono circa 100 mila quelli che ad oggi hanno perso il lavoro. Per una ironia della sorte, una larga fascia di elettori che hanno votato per Trump sono quelli che sono stati colpiti dai fulmini di Musk. Questo perché gran parte della burocrazia federale, circa 600 mila dipendenti, è composto da ex militari che dopo il servizio nelle Forze Armate hanno punti di merito e sono privilegiati nelle assunzioni nell’apparato federale. Secondo il Pew Research Center il 63% degli ex militari ha votato per Trump.
Con i democratici ancora smarriti, prigionieri nel labirinto del Woke e dei pronomi giusti, incapaci di elaborare una qualunque strategia, la magistratura finora è stata l’ultimo freno alla trasformazione imposta da Trump. Ma le ultime bordate di insulti, lanciate dal presidente contro i magistrati e i tentativi di delegittimare le loro decisioni quando non gli piacciono, hanno visto molti compagni di partito prendere le distanze dal capo della Casa Bianca.
Il parlamentare repubblicano del South Dakota Dusty Johnson, presidente del Main Street Caucus, ha detto che Trump “Non dovrebbe mettere sotto accusa i giudici perché prendono una decisione con cui il presidente non è d’accordo. Il rimedio per le cattive decisioni è farle ribaltare in appello”.
“Abbiamo una tradizione che risale al 1789 di rispettare le decisioni dei giudici o di appellarci. È il modo in cui rispettiamo la separazione dei poteri nella Costituzione”, ha affermato il parlamentare repubblicano Don Bacon. Il senatore repubblicano John Kennedy ha detto che l’idea di mettere sotto accusa i giudici per le loro sentenze è “semplicemente idiota”. Con lui il senatore repubblicano John Cornyn “Non si mettono sotto accusa i giudici che prendono decisioni con cui non si è d’accordo”.
E il dissenso è aumentato anche per l’avvicinamento della Casa Bianca a Putin. Non tanto per il protagonismo del presidente che cerca di imporre una tregua a Russia e Ucraina, quanto sulla guida americana della Nato, che Trump, inspiegabilmente, vuole abbandonare. Due repubblicani, il presidente della commissione Servizi Armati del Senato, Roger Wicker, e quello della commissione analoga della Camera, Mike Rogers, hanno firmato una dichiarazione in cui hanno spiegato che ogni cambiamento deve essere deciso dal Congresso e non unilateralmente dal presidente.
Un commentatore repubblicano in uno dei programmi politici della CNN ha detto che “decine di repubblicani, dietro le quinte, sono preoccupati” perché per loro le elezioni di Mid-Term sono dietro l’angolo e con Trump tornato alla Casa Bianca, con le sue minacce e i suoi licenziamenti, quanti li hanno votati ora si pentono di averlo fatto.