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Meeting G7 Esteri a Charlevoix: tensioni commerciali e dubbi sull’affidabilità USA

Il Canada, in guerra commerciale con Washington, ospita i capi della diplomazia dei Sette Paesi alleati (sulla carta)

Massimo JausbyMassimo Jaus
Meeting G7 Esteri a Charlevoix: tensioni commerciali e dubbi sull’affidabilità USA

A man walk past the G7 members flags at the Manoir Richelieu before the G7 Foreign Ministers summit in La Malbaie, Quebec, Canada March 12, 2025. REUTERS/Mathieu Belanger

Time: 4 mins read

Il Canada, che ha la presidenza di turno del G7 e che è in piena guerra commerciale con gli Stati Uniti, ospita fino a venerdì a Charlevoix, in Quebec, il vertice dei ministri degli Esteri. Una riunione che inevitabilmente vedrà i massimi diplomatici di sei delle sette nazioni che ne fanno parte cercare di capire se quest’America, con cui hanno vecchie alleanze, sia ancora il Paese su cui fare affidamento.

La pace tra Ucraina e Russia sarà il tema centrale quando prenderanno ufficialmente il via le sessioni della riunione e i ministri degli Esteri, con il segretario di Stato Marco Rubio, parleranno delle discussioni che si sono svolte in Arabia Saudita. Ma al di fuori dal cessate il fuoco e delle risorse che gli Stati Uniti sono riusciti ad ottenere da Zelensky, si vuole capire se questa America sia ancora un partner affidabile perché non è solo il Canada ad essere il bersaglio dei capricciosi ed erratici strali lanciati dalla Casa Bianca. Anche gli altri alleati del G7 sono stati colpiti dalle misure protezionistiche di Trump. Da ieri, infatti, sono entrati in vigore dazi del 25% su acciaio e alluminio “per tutti i nostri partner commerciali” ha detto un portavoce della Casa Bianca. “E presto ci saranno anche quelli sul rame” ha aggiunto il segretario al Commercio.

Nella panoramica, oltre alla guerra commerciale, c’è anche questo inspiegabile avvicinamento tra la Casa Bianca e il Cremlino che rimette in gioco l’Alleanza Atlantica, a cui si aggiunge la sospensione degli aiuti di USAID ai Paesi più poveri del pianeta. Un decisione che concede ampi spazi a Russia e Cina per inserirsi nel vuoto lasciato dagli Stati Uniti.

Con la sua politica populista il capo della Casa Bianca ha innescato questo provocatorio autoisolamento che ha colorato con un vittimismo commerciale, tanto caro ai suoi elettori, che, come una shock terapia, ha mandato in fibrillazione le Borse mondiali e, ovviamente, sta forzando i Paesi alleati a chiedersi se questa America sia ancora il Paese con cui continuare ad avere una partnership. Tutti hanno sempre riconosciuto il ruolo guida degli Stati Uniti, ma ora con Trump alla Casa Bianca che lancia e impone minacce commerciali e territoriali agli stessi membri dell’alleanza c’è stata la trasformazione. La Casa Bianca afferma che sono misure necessarie per riavviare la produzione interna. Giustificazioni però che cadono dopo che Trump ha minacciato l’annessione del Canada, che continua a chiamare il “cinquantunesimo Stato” sbeffeggiando il primo ministro canadese, che chiama “governatore”, cambiando senza preavviso i trattati commerciali con Messico e Canada, affermando che la Groenlandia “in un modo o in un altro” diventerà americana, minacciando Panama “di riprendersi il Canale”. Cose dette e minacce lanciate che con la ripresa della produzione interna per acciaio e alluminio hanno poco a che vedere.

Ora il Canada, in piena guerra commerciale con i “vicini” di casa, ospita questo evento con una nuova guida politica. Domenica scorsa, infatti, l’ex governatore della Banca centrale, Mark Carney, è stato eletto a larga maggioranza alla guida dei Liberal e prossimamente succederà a Justin Trudeau come primo ministro. Ma tutti gli occhi sono puntati su Marco Rubio, il Segretario di Stato, primo alto funzionario dell’amministrazione Trump a visitare il Canada da quando il presidente ha lanciato questa guerra commerciale con Ottawa, il quale si ritrova nella difficile situazione di dover spiegare agli altri 6 del G7 il comportamento del capo della Casa Bianca. In Quebec “non andiamo a discutere di come prenderemo il controllo del Canada”, ha detto Rubio ai giornalisti al seguito durante il viaggio che da Gedda lo ha portato a Quebec City. Mentre ha riconosciuto che non si potrà evitare il tema delle tensioni commerciali, affermando poi che il nodo centrale della riunione canadese resta quello di convincere il Gruppo affinché sostenga l’approccio scelto da Trump per spingere Mosca e Kiev a fare delle concessioni sul conflitto e arrivare a una pace.

Per il segretario di Stato sarà una riunione molto difficile anche se lui stesso cerca di sminuire la complessità della situazione che si è creata: dovrà giostrare sull’appoggio del Gruppo per la pace in Ucraina, per la quale solo gli Stati Uniti avranno poi i benefici per lo sfruttamento delle terre rare ucraine. Questo dopo aver imposto l’aumento delle tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio del 25% e minacciato il Canada di venire annesso agli Stati Uniti. Rubio ha riconosciuto che non potrà evitare di parlarne durante il suo incontro con il ministro degli Esteri canadese, Melanie Joly, ma ha affermato che i due Paesi hanno ancora “interessi comuni”, anche all’interno del G7.

Intervistato dalla CNN, Rubio ha difeso la decisione di Trump sui dazi affermando che sono necessari “per incentivare la produzione nazionale”. Secondo il capo della diplomazia americana, Trump ha imposto i dazi non come una punizione, ma perché “bisogna sviluppare la produzione nazionale. Se non abbiamo acciaio e alluminio, non possiamo costruire navi da guerra. Non possiamo costruire aeroplani. Non siamo un’economia industriale. Queste sono cose che dobbiamo essere in grado di proteggere e di sviluppare da noi stessi. Ci sono tante pratiche commerciali scorrette, molti Paesi che sovvenzionano le loro industrie così che possano guadagnare quote di mercato globale”, ha affermato Rubio, che poi ha aggiunto di essere d’accordo con il presidente “perché nel passato abbiamo sviluppato una politica commerciale che ha portato gli Stati Uniti alla de-industrializzazione, rendendoci vulnerabili verso ogni sorta di interruzione delle forniture globali e verso tentativi di estorsione, per non menzionare la nostra incapacità di produrre ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra economia e la nostra difesa. È questo il motivo del nostro cambiamento”.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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