Succederà quindi l’impensabile, o meglio ciò che in realtà molti sinceri democratici della Germania renana dissero di temere nei giorni della caduta del muro e della prospettata riunificazione: che il virus del prussianesimo, rafforzatosi nelle infami stagioni del nazismo e del comunismo, potesse contagiare la società e le istituzioni di una democrazia che, in Germania non avrebbe mai potuto esprimersi in modo energico contro i suoi nemici per non essere giocata dall’accusa di autoritarismo. A meno di fatti eclatanti dell’ultimo momento, Afd, Alternative für Deutschland, il partito della destra estrema che fa da riferimento agli ambienti economici culturali e religiosi dei cespugli del rigurgito neonazista tedesco, diventerà domani sera il secondo gruppo parlamentare, a neppure otto punti percentuali di distanza dai vincitori democristiani delle elezioni: 21-22% contro 29-30%, per i sondaggi che circolano.
A quel punto bisognerà prendere atto che una “Alternativa per la Germania” esisterà davvero, e si costituirà come una sorta di governo ombra, visto che tuttora viene confermato il suo status di paria della politica, scansato dai tre partiti – democristiano, socialdemocratico e liberale – che hanno fatto la storia del dopoguerra nel paese più importante dell’Unione Europea. Due le ragioni essenziali che spiegano il nuovo scenario politico tedesco: la recessione-stagnazione dell’economia, e le tensioni sui flussi di immigrazione. Su questi dossier le inadempienze del ceto politico e amministrativo democratico sono gravi.
Da un lato quello che avrebbe dovuto essere il paese guida dell’Unione Europea, si è come rinchiuso nel suo guscio, rifiutando di farsi motore delle necessarie riforme unionali, dall’altro ha soffocato le risposte al bisogno di innovazione. Il più classico e ripetuto dei comportamenti tedeschi del dopoguerra, il conservatorismo sociale e tecnologico, mentre in passato ha cementato la nazione e consentito il “miracolo” della ricostruzione e dell’affermazione come primo tra gli “eguali” dell’Unione, stavolta ha giocato contro il sistema, perché non ha consentito di modernizzare e dinamizzare l’economia e il sociale, in un sistema paese che ne aveva estremo bisogno.
Le responsabilità risalgono al lungo regno di Mutter Merkel: da madre di una nazione alla quale voleva evitare scossoni, mediava più che stimolare e innovare. Chi le è succeduto, il socialdemocratico Olaf Schol, è riuscito a fare anche peggio: tentennante su ogni cosa, contraddittorio fino all’irritazione in economia (la lunga esitazione sull’emancipazione dalla poppata russa) ma anche in politica interna (migranti) ed estera (sostegno all’Ucraina), del tutto assente in quanto a input strategici all’Unione Europea. La discesa agli inferi del suo partito (mai così in basso la Spd nelle intenzioni di voto, 15-15,5%) testimonia come sia riuscito a scontentare l’opinione pubblica di un paese che l’aveva ben accolto al cancellierato, nonostante vi fosse giunto in modo fortunoso grazie a marchiani errori dell’allora leader democristiano Armin Laschet.
Farà meglio il nuovo cancelliere, presumibilmente Friedrich Merz il democristiano che viene candidato dalla coalizione Cdu/Csu? Possibile, ma non certo, visto che il cambio di marcia necessario a tirare fuori dal sonno il pachiderma tedesco potrebbe venire solo da un governo determinato, e con il 30% dei voti si fa al più un governo disomogeneo, destinato a mediazioni continue tali da annacquare provvedimenti che avrebbero invece bisogno di essere anche radicali. In economia si pensa in particolare a come spingere una crescita che è prevista ancora debole, arrestare il rallentamento della produzione industriale, rispondere alla crisi energetica, rilanciare l’automotive, restituire efficienza al mercato del lavoro. Nella politica estera si guarda alle sfide piuttosto impegnative e alle scelte per certi versi drammatiche (non fosse altro perché stravolgono ottant’anni di politiche coerenti della Bundesrepublik), in fatto di difesa comune europea, aggressività russa, tutela del futuro ucraino, rapporto con gli Stati Uniti di Trump.
A questo proposito, dalle 19:00 Cet di domenica cominceranno a circolare ipotesi sulla coalizione di governo realizzabile da Merz, sempre che un eventuale ipersuccesso di Afd non convinca a nuove elezioni.
In base a tradizione e quadro politico attuale, dovrebbe venir fuori una “coalizione Kenya” (nel linguaggio politico tedesco, in questi casi, si usa il riferimento ai colori delle bandiere) nero, rosso e verde, ma di un’alleanza coi Verdi non vuole sentir parlare Markus Söder, a capo della Csu, la democrazia cristiana della ricca e potente Baviera. Identica difficoltà verrebbe quindi a presentare il bipartismo che escluderebbe i socialdemocratici, e la coalizione Giamaica che al nero e al verde aggiungerebbe il giallo dei liberali della Fdp: peccato che a questo momento i liberali risultano sotto il 5%, soglia minima per entrare in parlamento. L’ipotesi della coalizione Germania (nero, rosso e giallo) non comporterebbe il problema Verdi, ma sono i liberali a non volerne sapere perché in precedenti occasioni ne sono risultati fortemente penalizzati in termini elettorali.
Far riemergere la Große Koalition di democristiani e socialdemocratici, che a suo tempo fece le fortune di Angela Merkel, potrebbe risultare impossibile per via dei bassi consensi previsti per Spd, e mal si presterebbe all’esigenza dell’Spd di riqualificarsi agli occhi del suo elettorato storico, calamitato dalle sirene della Sinistra pura e dura di Die Linke (data intorno al 6%) e del populismo di Bsw (4-5,5%).
In linea con l’attuale fase politica attraversata dalle istituzioni comuni dell’Unione e dai 27 paesi membri, la vittoria democristiana non altererà il quadro politico continentale, che verrà anzi a ulteriormente stabilizzarsi sul centro conservatore, marcando il declino delle socialdemocrazie. Tutt’altro scenario di fronte a un inatteso ipersuccesso dell’Afd di Alice Weidel che, proprio perché farebbe pensare a uno stato tedesco che rimette le lancette del suo orologio politico a un secolo fa, avrebbe ripercussioni a tutto campo.
A Washington, D.C., visto l’esplicito invito di Elon Musk a votare Afd, si sprecherebbero gli X di rallegramento e gli inviti a collaborare per il radioso futuro dei suprematisti bianchi e prolifici eterosessuali. A Bruxelles, ci sarebbe costernazione, magari camuffata da eleganti inviti alla collaborazione. Nelle altre capitali, tutti si accorgerebbero che in Europa starebbe accadendo qualcosa di grosso, e ne trarrebbero le opportune conseguenze in base alle rispettive opzioni e visioni politiche. Conseguenze immediate sarebbero visibili anche sul piano finanziario. Valore dell’euro e del nostro spread sul Bund tedesco sarebbero gli indizi ai quali immediatamente guarderebbero gli italiani. Il Dax, Deutsche Aktienindex, l’indice azionario sintetico dei 40 titoli rilevanti alla borsa di Francoforte, qualche sobbalzo lo registrerebbe senz’altro.