Le prime settimane del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sono state a dir poco vertiginose. Il presidente ha dato il via al suo secondo mandato con una furiosa raffica di ordini presidenziali: imponendo (e poi posticipando) i dazi a Canada e Messico; lanciando una feroce campagna contro il DEI (Diversity, Equity, Inclusion) impedendo alle persone transgender di rimanere in servizio e arruolarsi nelle forze armate; cancellando quasi tutti i programmi di aiuti che gli Stati Uniti forniscono all’estero. Ha rivelato i piani per epurare il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Giustizia, l’FBI e la CIA dai suoi fantomatici nemici e ha concesso la grazia ai suoi sostenitori insurrezionalisti che hanno preso parte all’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021. Ha anche lanciato il “più grande programma di deportazione degli immigrati illegali nella storia americana”.
Con i democratici che sono in minoranza sia alla Camera che al Senato Trump gestisce il ramo esecutivo come meglio crede facendo affidamento su un Congresso compiacente e complice, autorizzando Elon Musk a licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici, a chiudere intere agenzie federali, a bloccare fondi governativi che già votati e approvati e, in generale, a seminare il terrore nella forza lavoro federale.
Il sistema democratico degli Stati Uniti, che si basa sugli equilibri del “Checks and Balances” tra il potere esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario – per oltre due secoli il punto di forza della democrazia negli Stati Uniti – è in questo modo gravemente compromesso.
L’affondo lanciato dal ramo esecutivo ha mandato al tappeto quello legislativo che, oltre a protestare e condannare, non sa come fermare l’offensiva del presidente. L’ultimo baluardo in difesa della democrazia resta la magistratura. Tuttavia, anche questa, che dovrebbe essere “bendata ed equa”, vede il dito nascosto di Trump che sbilancia in suo favore il piatto della bilancia dopo aver nominato ai vertici del Dipartimento di Giustizia i suoi fedelissimi, incluso il suo ex avvocato personale, ed aver lanciato una campagna di intimidazioni sui procuratori federali che, peraltro, in massa si stanno dimettendo. Poi la Corte Suprema, con i tre giudici conservatori che lui ha scelto, ha approvato la sua parziale immunità anche quando non era più in carica.
Il panorama, almeno per i prossimi due anni, quando eventualmente gli equilibri potrebbero cambiare con le elezioni di Mid Term, è grigio per gli oppositori di Trump. Per ora solo il ramo giudiziario è quello che può ostacolare questa blitzkrieg della Casa Bianca.
Mercoledì, una corte d’appello federale ha respinto la richiesta dell’amministrazione Trump di porre fine allo ius soli, la cittadinanza per diritto di nascita per i figli di immigrati illegali. I tre magistrati del 9° Circuito federale a San Francisco hanno stabilito all’unanimità che la direttiva presidenziale vìola la Costituzione, aggiungendo però che un esame più approfondito, al quale parteciperanno tutti e nove i magistrati della Corte d’Appello, sarà effettuato a giugno. Gli avvocati del Dipartimento della Giustizia stanno ora decidendo se aspettare la decisione dei magistrati dell’intera corte d’appello o se ricorrere subito alla Corte Suprema.
Nella memoria presentata in corte, il Dipartimento di Giustizia ha affermato che l’ordine esecutivo sulla cittadinanza per diritto di nascita era “parte integrante dello sforzo più ampio del presidente Trump per riparare il sistema di immigrazione degli Stati Uniti e per affrontare l’attuale crisi al confine meridionale”.
Per decenni, in base a un emendamento costituzionale del 1868 e a una legge che lo ha preceduto, la cittadinanza è stata estesa a chiunque sia nato sul suolo degli Stati Uniti, indipendentemente dallo stato di immigrazione dei genitori. Trump sta cercando di vietare lo ius soli ai bambini i cui genitori sono clandestini o sono legalmente presenti negli Stati Uniti con visti temporanei.
Ma questo dello ius soli non è il solo caso che la Corte Suprema dovrà decidere. Prima c’è quello del licenziamento di Hampton Dellinger da parte del presidente Trump. A chiedere l’intervento della massima assise giudiziaria non è stato il funzionario federale allontanato, che già si è rivolto al tribunale federale e ha ottenuto il temporaneo reintegro, ma la Casa Bianca. L’obiettivo è sapere se il presidente ha l’autorità di licenziare anche gli “illicenziabili” dell’amministrazione federale, quelli che sono stati vagliati e approvati dal Congresso per controllare che il governo non commetta abusi. Un test voluto dallo stesso Trump, insomma, per mettere alla prova i limiti del suo potere presidenziale.