È forse la fine di un’epoca – quella del massiccio impegno USA a favore della cooperazione globale.
Nel fine settimana in molti hanno segnalato come il sito Web dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) sia stato oscurato e sostituito da una versione ridotta ospitata dal dominio del Dipartimento di Stato. Nelle stesse ore alcuni dirigenti di alto livello sono stati sospesi e perciò si sono moltiplicate le voci di un’imminente chiusura dell’agenzia.
Sullo sfondo, l’ipotesi di un ordine esecutivo con cui Donald Trump potrebbe smantellare USAID e trasferire le sue funzioni sotto il controllo diretto del ministero degli Esteri di Washington – una decisione in linea con la sua storica diffidenza del neo-presidente verso i finanziamenti per l’assistenza internazionale.
Sabato pomeriggio, alcuni segnali hanno fatto temere il peggio: al quartier generale di USAID nella capitale sarebbero state rimosse le insegne dell’agenzia, mentre sono circolate voci – non ancora verificate – sul richiamo in patria dei direttori delle missioni all’estero. La situazione è resa ancora più opaca dal clima di segretezza imposto ai dipendenti: chi lavora nella sede centrale parla di “caos e paura”, con metà del personale già licenziato nell’ultima settimana.
Secondo fonti vicine al dossier, a orchestrare lo smantellamento sarebbe Pete Marocco, ex funzionario del Dipartimento di Stato con ruoli di rilievo nella prima amministrazione Trump. A preoccupare i dipendenti è anche l’installazione di un programma di intelligenza artificiale chiamato Gemini sui loro account di posta elettronica. Il software sarebbe infatti legato a Elon Musk, incaricato da Trump di guidare un nuovo organismo per il taglio dei costi pubblici, il Dipartimento per l’Efficienza del Governo.
Il Dipartimento di Stato finora è stato vago: i funzionari non hanno fornito spiegazioni ufficiali sulle manovre in corso, che potrebbero essere una semplice ristrutturazione o il preludio a una drastica riduzione – se non alla soppressione – della maggior parte dei programmi di aiuto internazionale promossi da Washington.
I parlamentari democratici vedono nero. “Tutti i segnali portano nella stessa direzione: i vertici messi in congedo, il personale obbligato al silenzio. Non sembra una revisione, ma una chiusura mascherata”, ha dichiarato il senatore Chris Coons, membro delle commissioni Esteri e Bilancio.
Fondata nel 1961, USAID è il pilastro della politica di aiuti umanitari degli Stati Uniti. Sebbene riceva direttive generali dal Dipartimento di Stato, ha sempre mantenuto una certa autonomia operativa. I suoi fondi – destinati a sanità, soccorsi in caso di catastrofi, lotta alla povertà e altre iniziative – rappresentano meno dell’1% del bilancio federale, ma hanno un peso strategico cruciale.
L’attuale crisi arriva dopo che, a gennaio, l’amministrazione Trump ha congelato quasi tutti i programmi di assistenza all’estero, consentendo solo un’esigua eccezione per gli aiuti umanitari di emergenza. Ora, il rischio è che lo sconvolgimento interno all’agenzia paralizzi del tutto l’intero sistema.
Sul piano legale, Trump potrebbe trovarsi davanti a un ostacolo: per sciogliere USAID serve un atto del Congresso, che ha l’ultima parola sulla sua esistenza e sui finanziamenti. Per questo, i democratici sono sul piede di guerra. “Non gli basta chiudere programmi e licenziare il personale: ora vuole ELIMINARE L’INTERA AGENZIA. Magari già questo fine settimana”, ha tuonato il senatore Chris Murphy, avvertendo che una simile decisione sarebbe incostituzionale.
La chiusura dell’agenzia, secondo alcuni analisti, potrebbe aprire un vuoto geopolitico a vantaggio di potenze rivali come Cina, Russia e Iran. “Eliminare USAID significa minare la sicurezza americana: meno aiuti significa più instabilità, più estremismo e meno mercati per le esportazioni statunitensi. Un regalo a Pechino e Mosca”, ha avvertito la senatrice Amy Klobuchar.