È l’albero di Natale più famoso al mondo. Il più visto — cento milioni di persone ogni anno — lussuoso, scintillante e gigantesco com’è al Rockefeller Center di New York. L’ultimo viene dal Maryland, è alto 25 metri, brilla di cinquantamila luci colorate e ha in cima una stella di cristalli Swarovski. Non somiglia a quello che nel 1931 inaugurò una tradizione nata in povertà, al gelo e senza bagliori. Ma fu simbolo di speranza e resistenza, l’ottimismo del sogno americano. Il sogno di un emigrato ciociaro: Cesidio Perruzza, nato nel 1884 a San Donato Val di Comino, ultimo lembo del Lazio al confine con l’Abruzzo. “A diciassette anni sbarcò negli Stati Uniti e come molti italiani lavorò nei cantieri delle Nazioni Unite, della metropolitana di Sixth Avenue, del Madison Square Garden”, spiega il sindaco Enrico Pittiglio. Lavorò anche nell’area del Rockefeller, il motore di un racconto che sa di fiaba.
L’avventura comincia dal piroscafo che attracca davanti all’isola di Manhattan. Una volta a terra, il popolo venuto dall’altra parte dell’oceano capisce che la terra delle opportunità è quasi sempre un circo delle illusioni. E il lieto fine, quando arriva, passa per momenti durissimi. A forza di braccia, spaccando pietre per costruire grattacieli, strade o rotaie, gli emigranti salgono pian piano di un gradino nella scala sociale. E’ poco, certo, eppure è moltissimo. I più fortunati si ricongiungono alla famiglia rimasta in Italia, raggranellando con fatica i soldi del viaggio: le rimesse mensili, spedite al paese, servono a pagare il biglietto per New York. È così che la vita di Cesidio prende forma. Chiama con sé la moglie Gerarda, sposata prima di partire, e tutto sembra filare liscio finché l’America precipita nella Grande depressione. La crisi economica colpisce al cuore la finanza, le industrie, le banche, i colletti bianchi e le classi agiate. Wall Street crolla. A pagare il conto più salato sono però i proletari che forniscono manodopera a basso costo alle fabbriche e alle imprese di costruzioni. Tutto si ferma.
Povertà e disperazione abitano nei quartieri degli umili a Little Italy: il gioco del destino riporta quegli uomini semplici e tenaci alla casella zero. Perruzza non può permettersi di stare a guardare e per sopravvivere accetta ingaggi estremamente pericolosi. Si specializza negli esplosivi, che servono a spianare il terreno e preparare i cantieri rimasti attivi. Diventa così bravo con la dinamite che la sua abilità gli vale il soprannome di Joe Blaster, ovvero Joe il detonatore. La ruota ricomincia lentamente a girare. Arriva il Natale del 1931 nello spazio aperto dell’Rca Building, e lui ha un’idea folgorante. A ispirarlo è il flash del cielo stellato, nel suo paese, le luci durante le notti d’inverno. Raggruppa gli emigranti impegnati attorno al grattacielo e dice: “Dobbiamo ringraziare mister Rockefeller, l’uomo che ci ha dato un lavoro”. Ecco come. Decoreranno un grosso abete che campeggia solitario, ancorato sul terreno fra due massi in mezzo alle gru, le vanghe e i picconi. Serve qualcosa che rappresenti gli operai: i fili elettrici come festoni sui rami, la carta luccicante del chewing-gum e la stagnola dei candelotti che rompono la roccia e scavano le fondamenta.
Povere cose, materiale di scarto. Il risultato è l’albero di Natale testimoniato da un’immagine storica: sessanta operai a Manhattan Midtown, vicino alla Cattedrale di San Patrizio, in fila per ricevere la paga settimanale. A sinistra nella foto, l’abete addobbato a festa. È il 24 dicembre. Nel gruppo Cesidio e il fratello Loreto, poi Antonio Ventura anche lui di San Donato, i tanti provenienti dall’Irpinia e il siciliano Antonio Salimbene, difensore dei braccianti italo-americani. La storia sommersa riemerge esattamente 25 anni fa, quando l’ex governatore Mario Cuomo regala la fotografia alla famiglia Perruzza. Con una dedica sul retro: “New York ringrazia la gente di San Donato Val di Comino”. E aggiunge, con l’orgoglio di un figlio di emigrati: “Sono Salernitano”.
Sarebbe stato un peccato se questa piccola grande storia, italiana e americana, rimanesse solo un ricordo lontano. Perché non rievocarla in una clip? Detto fatto, ecco il video intitolato 1931 Le luci brillano a Manhattan. Arricchito da immagini e filmati d’epoca, con la voce narrante di Massimo Wertmuller su testo di Maria Grazia Lancellotti, sarà proiettato al Museo dell’Emigrazione a Genova e nel Museo del Novecento e della Shoah del paese laziale fino al giorno della Befana. Nello stesso tempo trionfa in rete, sulla scia del passaparola: il tributo a quanti venuti da lontano — alcuni tragiche vittime sul lavoro — costruirono l’immenso complesso déco del Rockefeller Center, dal 17 maggio 1930 al primo novembre del 1939.
Ma che cosa è stato di Perruzza? “È rimasto in cantiere fino a settant’anni, imparando a conoscere ogni vena della roccia”, aveva spiegato al New York Times nel 2015 il nipote Steve Elling. All’epoca era ancora in vita Josephine, la più giovane dei dieci figli di Cesidio e Gerarda. “Mia mamma — raccontava — era una contadina che non aveva mai visto il mare e non sapeva cosa fosse un gelato. Grazie al lavoro di papà comprarono una casa a Brooklyn, facevano il vino in cantina come al paese. Quando lui è andato in pensione si trasferirono nel Massachusetts: se ne sono andati quasi insieme nel 1972”. Ma il sacrificio degli emigranti, i loro sogni, quell’albero di Natale del 1931 sono ancora qui. Il nostro presente.