Althia Bryden sa di essere fortunata a essere viva. Ma oggi non sa più chi è: al posto della donna che conosceva – 58 anni, nonna, già in pensione, nata a Highbury a nord di Londra – c’è una signora che si è svegliata dopo un ictus parlando italiano, lingua mai studiata né conosciuta. Anzi, in Italia non c’era nemmeno mai stata.
In effetti dire che Althia parla italiano è eccessivo. Parla con un accento straniero però, che medici e infermieri al suo capezzale hanno identificato come “italiano”, e usa anche qualche parola – sì, mamma mia, bambino – che il suo cervello tira fuori dal cilindro lasciandola stupefatta.
È cominciato tutto il 4 maggio scorso, quando è stata trovata a letto esanime, con il viso semiparalizzato. Ricoverata d’urgenza con una diagnosi di ictus, non poteva più parlare. La causa è stata identificata nella carotide destra, e due mesi dopo Althia è stata operata anche per recuperare la parte destra del corpo.
Il giorno seguente, in terapia intensiva, un’infermiera l’ha svegliata per misurarle la pressione e “di punto in bianco ho iniziato a parlare”, ricorda Althia. “Nessuno riusciva a credere che stessi parlando dopo tanto tempo. Però mi hanno chiesto se avessi un accento italiano prima dell’ictus. No… “Ma adesso ce l’ha”, hanno detto”.
“Prima”, aggiunge, “non sembravo la Regina, però ero certamente inglese. Ho sempre vissuto a Londra, anche se tutta la mia famiglia è originaria della Giamaica”.
Secondo il suo logopedista, Althia soffre di una condizione molto rara, la “sindrome dell’accento straniero”, una disfunzione neurologica che ha cause post traumatiche a livello fisico -come un ictus o un trauma cranico -oppure a livello psicologico. Dal 1941 al 2010 sono stati recensiti in letteratura scientifica appena una cinquantina di casi.
Chi ne soffre usa accenti, ritmo, cadenza che non appartengono alla lingua madre, ma che d’improvviso caratterizzano la sua lingua parlata: colpa di lesioni cerebrali di aree che ospitano le funzioni linguistiche, soprattutto quelle che determinano la lunghezza delle vocali e l’intensità del suono, essenziali per la determinazione di un accento.
Ci sono rari casi anche in Italia: come quello di un paziente bergamasco che dopo un ictus aveva “un accento slavo”, o quello di una donna toscana che in seguito a un ictus ischemico parlava con accento “sardo”.
“I medici e gli infermieri mi consideravano un po’ un prodigio della medicina: nessuno degli infermieri, dei medici, dei terapisti o dei chirurghi aveva mai avuto a che fare con la sindrome dell’accento straniero in tutta la carriera”, racconta Althia. “Anche la mia risata non è più la stessa… non sono più io. È molto triste: tutto è diverso, anche il mio linguaggio del corpo è diverso”. Althia dice che si sveglia ogni mattina sperando che il suo accento sia sparito. “Dov’è il bottone per spegnere questa cosa?”. Secondo i medici, non è detto che passi.
La donna frequenta l’Associazione ictus, che organizza visite a domicilio di un coordinatore e la partecipazione a gruppi di sostegno. “Mi hanno fatto capire che la sindrome dell’accento straniero fa parte della mia storia e che non dovrei vergognarmene”, spiega. “Ma vorrei incontrare qualcuno che ne sia affetto per parlarci e sostenerci a vicenda”.