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Il caso Pelicot: in Francia tutti condannati i 51 stupratori di Gisèle

La donna drogata e offerta dal marito su Internet per 10 anni, oggi un'icona femminista

Adriana CarnellibyAdriana Carnelli
 
 
Time: 4 mins read

Il tribunale penale di Vaucluse ad Avignone (nel sud-est della Francia) ha condannato Dominique Pelicot alla pena massima di 20 anni di reclusione e ha dichiarato colpevoli tutti i suoi 50 coimputati, al termine di uno storico processo per stupro seriale durato quattro mesi, che ha fatto il giro del mondo ed è diventato un simbolo della violenza contro le donne. In tribunale c’erano 150 giornalisti accreditati, tra cui 86 stranieri.

“Signor Pelicot, lei è stato dichiarato colpevole di stupro aggravato nei confronti di Gisèle Pelicot”, ha detto il presidente del tribunale Roger Arata, all’uomo che per un decennio ha drogato l’ormai ex moglie Gisèle con ansiolitici, dopo aver pensato di rallegrarsi la pensione trasformandola in un oggetto sessuale e consegnandola a decine di uomini reclutati su Internet.

In seguito alla richiesta dell’accusa, il tribunale ha condannato Dominique Pelicot alla massima pena possibile per stupro aggravato. L’uomo, ha detto il suo avvocato, non ha escluso di ricorrere in appello.

Il magistrato ha poi elencato le pene per i 50 coimputati, uomini di età compresa tra i 27 e i 74 anni, nessuno dei quali è stato assolto; vanno da tre anni a 20 anni di reclusione.

A fine novembre, l’accusa aveva chiesto tra i 10 e i 18 anni di reclusione per 49 dei coimputati, sotto processo per stupro aggravato o tentato stupro, e quattro anni di reclusione per l’ultimo, sotto processo per molestie a Gisèle Pelicot.

Gisèle Pelicot con gli avvocati Stephane Babonneau e Antoine Camus arriva al tribunale di Avignone Ansa/ EPA/GUILLAUME HORCAJUELO

“Lo stupro riguarda le donne di tutto il mondo, ed è per questo che tutto il mondo ha gli occhi puntati su ciò che accadrà”, ha dichiarato all’AFP una rappresentante del collettivo femminista Amazones di Avignone.

I tre figli della coppia, David, Caroline e Florian, sono arrivati in tribunale insieme intorno alle 8.30. La madre Gisèle, accompagnata dai suoi due avvocati, è arrivata separatamente, sorridente, poco dopo le 9:00.

Gli avvocati della difesa avevano presentato una trentina di richieste di assoluzione per i loro clienti, che secondo loro erano stati “manipolati” dal “mostro”, dal “lupo”, dall’“orco” Dominique Pelicot.

La tensione era palpabile in aula, dove era stata dispiegata un’ampia presenza di polizia. Molti dei condannati dovrebbero dormire dietro le sbarre già da stanotte; preparati a questa eventualità, la maggior parte di loro era arrivata all’udienza con una borsa contenente pochi indumenti. In lacrime, uno di loro ha abbracciato a lungo la sua compagna prima di entrare in aula.

Il caso è servito anche a incarnare la piaga della violenza sessuale, attraverso la figura di Gisèle Pelicot, che da vittima anonima è diventata un’icona femminista, esortando le donne a “smettere di tacere” affinché “la vergogna cambi bandiera”. “Grazie Gisèle”, proclamava giovedì mattina uno striscione appeso ai bastioni della città vecchia di Avignone, di fronte al tribunale.

 

 

Alla vigilia del verdetto, la 72enne è entrata nella lista delle 100 donne della BBC per il 2024, insieme alla collega Nadia Murad, sopravvissuta a uno stupro di massa e premio Nobel, e all’attrice hollywoodiana Sharon Stone.

Ad agosto Pelicot ha ottenuto il divorzio dal marito, che ha confessato gli abusi che aveva meticolosamente documentati con foto e video. La donna ha lasciato la città meridionale di Mazan dove, secondo le sue stesse parole, il marito l’ha trattata per anni come “un pezzo di carne” o una “bambola di pezza”. Ora usa il suo cognome da nubile, ma durante il processo ha chiesto ai media di usare il suo vecchio nome di donna sposata, quello trasmesso ad alcuni dei suoi sette nipoti.

A metà settembre, ha abbandonato il suo abituale riserbo per parlare della sua umiliazione e della sua rabbia nei confronti di alcuni avvocati che avevano fatto insinuazioni sul suo calvario. “Lo stupro è uno stupro”, ha detto. In ottobre ha dichiarato di essere “distrutta” ma determinata a cambiare la società. Il mese scorso ha ribadito alla corte che è tempo che una società “maschilista e patriarcale” cambi atteggiamento nei confronti dello stupro. Ha detto anche che la maratona di udienze è stata un esame della “codardia” degli uomini che hanno partecipato alle aggressioni. Molti di loro hanno sostenuto che pensavano di prendere parte a una fantasia di coppia. Gosèle Pelicot si è chiesta come sia possibile che nessuno dei suoi abusatori abbia avvertito la polizia degli stupri, avvenuti tra il 2011 e il 2020. Diversi hanno partecipato agli abusi per sei volte. Più di 20 altri sospetti sono a piede libero perché gli investigatori non sono riusciti a identificarli prima dell’inizio del processo di massa.

Gisèele Pelicot era una donna come tante. Figlia di un militare, nata nel 1952 in Germania, tornata in Francia con la famiglia quando aveva cinque anni. All’età di nove anni la madre, a soli 35 anni, morì di cancro. Suo fratello maggiore Michel muore di infarto a 43 anni, prima del suo 20° compleanno. Gisèle incontra Dominique Pelicot, il suo futuro marito e stupratore, nel 1971. Sognava di diventare parrucchiera, ma ha studiato per diventare dattilografa. Dopo alcuni anni di lavoro interinale, è entrata a far parte dell’azienda elettrica nazionale francese EDF, concludendo la sua carriera in un servizio di logistica per le sue centrali nucleari. A casa, si è occupata dei suoi tre figli e poi di sette nipoti. Dopo la pensione, si era dedicata alle passeggiate e al canto in un coro locale. Solo quando la polizia ha sorpreso il marito a filmare le gonne delle donne in un supermercato nel 2020, e ha esaminato il suo computer, Gisèle ha scoperto cosa le era successo e perché, da anni, soffriva anche di infezioni vaginali e preoccupanti vuoti di memoria.

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Adriana Carnelli

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