Si chiama Freiheit, Freedom in inglese, Libertà in italiano: l’autobiografia politica di Angela Merkel che racconta anche i suoi 16 anni al governo della Germania è uscita contemporaneamente martedì 26 novembre in numerose lingue, con la stessa foto in copertina e il titolo a grandi caratteri bianchi. Oltre 700 pagine dal 1954 (il suo anno di nascita, il 17 luglio) al 2021. Non racconta gossip, ci mancherebbe, ma dà qualche scorcio della donna oltre che della statista.
Pochi i rimpianti. Rivendica ad esempio la decisione del 2015 di accogliere un milione di profughi, in larga parte siriani: non fu un errore, “è vero il contrario”. Lo stesso per l’annuncio del 2011 che la Germania avrebbe abbandonato l’energia nucleare chiudendo gradualmente le sue centrali: il disastro di Fukushima in Giappone “modificò la mia percezione del rischio posto dall’energia nucleare”, e non ha cambiato idea. Ugualmente, fu giusto impedire nel 2008 l’adesione alla Nato dell’Ucraina e della Georgia, per la sicurezza sia di Kiev che dell’Alleanza (né pare aver cambiato opinione dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022).
Sulla Brexit invece, vissuta come “un’umiliazione, una vergogna per noi” europei, Merkel si chiede se sarebbe stato opportuno fare più concessioni a Londra, ma conclude che si è trattato di una ferita autolesionista e che sarebbe stato difficile agire per evitarlo.
Due sono i temi di stretta attualità. Il primo è Donald Trump durante il suo primo mandato: Merkel dice di aver commesso l’errore di cercare di interagire con lui come se fosse una persona “del tutto normale”. Vede dei paralleli tra lui e Vladimir Putin e dice che Trump è “chiaramente affascinato” dal presidente russo: “Ho avuto la netta impressione che fosse ammaliato dai politici con tratti autocratici e dittatoriali”. Entrambi, dice, sono puerili nelle loro rimostranze, ed entrambi hanno cercato di metterla in imbarazzo di fronte alla stampa: rammenta l’episodio, piuttosto celebre, in cui Putin cercò di intimidirla con il suo labrador, Konni (Merkel ha paura dei cani), e anche quando Trump si rifiutò di stringerle la mano.
Merkel dice di aver cercato di ignorare le provocazioni, concentrandosi sugli interessi comuni, che per lo più significavano il commercio. Cita il consiglio datole da Papa Francesco: “Piegati, piegati e piegati ancora un po’, ma fai attenzione a non romperti”. Non una strategia di grande successo: non ha impedito a Trump di far uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi, né a Putin di invadere l’Ucraina.
Il secondo tema, di questi tempi, è il suo lascito da donna che ha guidato per quattro mandati la locomotiva d’Europa. Conservatrice della Germania Est, Merkel – che cominciò la carriera da ministra in un governo del cancelliere Helmut Kohl – non era disposta, scrive, “a essere definita come parte di un gruppo” e non condivideva “l’illusione” di Simone de Beauvoir che “il femminismo e la visione socialista del mondo si appartenessero”.
Tuttavia ha sempre lavorato a fianco di altre donne. Fu lei a nominare ministra della Famiglia Ursula von der Leyen, e in Libertà sottolinea l’importanza delle sue consigliere più fedeli, Beate Baumann ed Eva Christiansen; loda alcune compagne di strada i cui risultati, dice, sono stati sottovalutati, come la diplomatica svizzera Heidi Tagliavini e l’ex presidente lituana Dalia Grybauskaitė.
Nel 2017, le fu chiesto, durante una discussione sul podio con Ivanka Trump, se si considerasse una femminista. All’epoca eluse la domanda. Ma se glielo chiedessero ora, dice, sarebbe più recisa: “Sì: a modo mio”.