Sono passati ventiquattro anni dal capolavoro originale di Ridley Scott, Il Gladiatore. Il viaggio di Massimo Decimo Meridio ci aveva lasciati con la sua vendetta compiuta e la pace nei Campi Elisi. Ora, con Il Gladiatore II, nelle sale italiane dal 14 novembre (e dal 21 negli Stati Uniti), Scott ci riporta nell’Impero, sedici anni dopo, ma il protagonista è un altro: Lucio (Paul Mescal), figlio adottivo di Lucilla e testimone, allora bambino, dell’epopea di Massimo.
La storia prende il via dalla Numidia, tra le coste dell’Africa nord-occidentale, dove Lucio ha trovato il suo angolo di paradiso. Ha una moglie, un orto e un piccolo pollaio e tutto il tempo del mondo per perdersi in riflessioni sulla sua enigmatica discendenza. Ma questo idillio rurale non dura a lungo: il suo mondo viene stravolto dall’arrivo di navi romane, cariche di soldati guidati da Marco Acacio (Pedro Pascal), un ex seguace del padre di Lucio, ora al servizio dei corrotti gemelli imperiali, Geta e Caracalla (Joseph Quinn e Fred Hechinger).
Lucio vede uccidere la sua amata, viene ridotto in catene, condotto a Roma e venduto come schiavo a Macrino (Denzel Washington), un ex gladiatore divenuto impresario. Inizia così il percorso di Lucio: uno sentiero che lo porterà da schiavo a gladiatore e, forse – solo forse – alla libertà. Lucio è ben lontano dall’essere una copia di Massimo. Se il padre incarnava un senso di giustizia e dignità, il figlio è dominato dalla sete di vendetta contro Roma stessa, rappresentata dall’odiato Acacio, attuale marito di sua madre Lucilla, interpretata nuovamente da Connie Nielsen.

Il Gladiatore II si muove sui binari del film originale, ma senza aggiungere particolari novità. Come Massimo, anche Lucio è un soldato che cerca di trasformare l’arena gladiatoria in uno strumento di cambiamento politico, un luogo dove gli oppressi sfidano l’impero. Entrambi hanno perso persone amate per mano dei soldati romani e trovano una guida in un gladiatore in pensione, diventando leader di uomini condannati a combattere per l’intrattenimento altrui.
E anche l’impero è cambiato, ma non in meglio. Scott ci presenta una Roma stanca, logorata, dove i nuovi imperatori son più interessati a capricci grotteschi e a nominare animali al Senato che a mantenere vivo il “sogno di Roma”. Il Colosseo non attira più come un tempo e la folla sembra aver perso interesse per il sangue.
Nonostante l’età, il regista di Hannibal, Prometheus, Alien, si diverte ancora con gli effetti digitali, che abbondano. Nella prima grande scena di Paul Mescal come il gladiatore Lucio Vero, Scott scatena contro di lui un’orda di babbuini urlanti, che sembrano più creature aliene in CGI che autentici primati. E non finisce qui: in un’altra sequenza, Lucio affronta un branco di squali affamati, che nuotano tra onde digitali in un’arena allagata, in una battaglia navale che sembra uscita più da un film di fantascienza che da un dramma storico.
Il Gladiatore II sembra più una lontana eco del passato che una continuazione memorabile. Scott torna al mondo che ha creato, ma senza la stessa convinzione di allora, come se il vero viaggio — quello di Massimo — fosse già stato vissuto e concluso.