La telecamera inquadra il volto di Yevgeny Popov, volto noto della TV russa e propagandista del Cremlino. Accanto a lui, la collega Olga Skabeeva cerca di nascondere una risata nervosa. Dietro di loro, sullo schermo, appaiono le immagini: Melania Trump, giovane e sensuale, ritratta in pose provocatorie. È il 2000. Le fotografie, scattate per la rivista GQ, la mostrano in lingerie, distesa su un tappeto con lo stemma degli Stati Uniti in bella vista. Un’immagine audace, quasi presaga di ciò che sarebbe diventata.
“Così appariva Melania nel 2000. La copertina di GQ”, spiega Popov con un sorriso ironico. Il programma è 60 Minut, uno degli appuntamenti di punta del primo canale russo. In un Paese dove la libertà di stampa è quasi del tutto sotto il controllo del Cremlino, ogni immagine, ogni parola ha un peso. Non è un caso che siano proprio queste foto a finire nel prime time, subito dopo la vittoria di Trump. La Russia vuole parlare, e lo fa in modo diretto. Senza mezzi termini.
Ma perché proprio Melania? Perché proprio quelle foto? La first lady di origini slovene, che ha iniziato la sua carriera di modella in Europa prima di sposare Trump nel 2005, è diventata così, suo malgrado, protagonista di una pagina di un nuovo capitolo geopolitico tra Mosca e Washington.
Da anni si parla di un possibile dossier compromettente in possesso di Putin riguardante Trump, risalente ai suoi viaggi in Russia durante la sua carriera di imprenditore. E il fatto che la Russia abbia scelto di mandare in onda le immagini durante un programma di prima serata, subito dopo il successo elettorale MAGA – e subito dopo che Trump, secondo quanto riportato, avrebbe chiesto a Putin di non intensificare il conflitto in Ucraina e gli avrebbe ricordato della massiccia presenza di truppe USA in Europa -, sembra voler segnalare che Mosca ha il controllo sulle narrazioni che riguardano gli Stati Uniti.
La domanda è: cosa vuole veramente dire Putin, che da dietro le quinte approva tutto questo? Forse è una lezione a Trump. Un avvertimento. Un modo per dirgli che in questa partita geopolitica, la Russia non è mai dalla parte del perdente.