Una ricerca sviluppata della piattaforma Great Place to Work, evidenzia i rischi del “quiet quitting” o “abbandono silenzioso”, un fenomeno sempre più diffuso tra i lavoratori costretti a tornare in ufficio.
Con “quiet quitting” si intende il disimpegno emotivo e professionale di dipendenti che, pur mantenendo il proprio posto, smettono di contribuire con entusiasmo, e iniziano a minare la cultura aziendale e la produttività.
I dati mostrano un legame diretto tra flessibilità lavorativa e coinvolgimento: coloro che possono scegliere tra lavoro in sede, remoto o ibrido sono ben 14 volte meno propensi all’abbandono rispetto a chi è obbligato alla scrivania.
L’indagine sottolinea anche la differenza tra gli ambienti di lavoro: quelli ad alta flessibilità, hanno l’83% degli occupati che si dichiara soddisfatto, rispetto al 51% di chi è impiegato in luoghi con politiche più rigide. I dipendenti che lavorano in remoto hanno il 27% di probabilità in più di guardare con entusiasmo alla giornata rispetto ai colleghi che operano in presenza.
In un sondaggio condotto su oltre 4.400 impiegati statunitensi, emerge che chi lavora in maniera flessibile non solo è meno incline al “quiet quitting” ma mostra anche un interesse maggiore per i ruoli attivi. Tuttavia, circa il 70% dell’organico è obbligato a tornare in ufficio, con il rischio di sviluppare maggiore disimpegno.
L’adozione di modelli flessibili non si limita solo a opzioni di lavoro a distanza. Altre soluzioni come settimane lavorative compresse, ferie retribuite, e orari prevedibili possono ridurre il disinteresse e migliorare il morale delle risorse. Le aziende che investono in questi aspetti riescono a creare ambienti di lavoro ad alta fiducia e maggiore benessere psicologico.
Sebbene non tutti i ruoli possano essere svolti a distanza, costruire una cultura di fiducia e adottare soluzioni flessibili può aiutare a ridurre il rischio di abbandono silenzioso e a mantenere alta la motivazione.