“Non fornire armi all’Ucraina o te ne chiederanno sempre di più”.
Nel luglio del 2017, al G-20 di Amburgo, un Donald Trump da poco insediatosi alla Casa Bianca si ritrovò per la prima volta faccia a faccia con il leader russo Vladimir Putin. Passati tre anni dall’annessione manu militari della Crimea da parte di Mosca fu proprio la crisi ucraina, destinata a diventare da lì a qualche anno sempre più nodo gordiano nei rapporti con Washington, che il repubblicano chiese un “parere” al levigato collega pietroburghese.
Secondo fonti riportate dal New York Times, il magnate newyorkese interrogò Putin sull’opportunità che Washington armasse a Kyiv contro i secessionisti nel Donbass. E fu proprio lì che, secondo il racconto, il suo interlocutore cercò di persuadere il neo-collega a non farlo, bollando l’Ucraina una nazione “corrotta” e “creata dal nulla”, e insistendo sul fatto che il Cremlino avesse ogni diritto di esercitare la sua influenza sulla regione est-europea ex-sovietica. Per Putin, inoltre, fornire armi statunitensi a Kyiv sarebbe stato un errore fatale, poiché la leadership ucraina avrebbe solo “continuato a chiedere sempre di più”.
Quell’incontro ad Amburgo fu, secondo gli insider, una vera e propria “lezione magistrale” di manipolazione diplomatica da parte del leader russo, che all’alba del 24 febbraio 2022 avrebbe dato l’ordine di invadere il vicino occidentale (e forse ci pensava già da allora).
Rex Tillerson, allora Segretario di Stato di Washington e testimone dell’incontro, descrisse a posteriori la scena come un tentativo di Putin di “plasmare” l’approccio di Trump verso l’Ucraina, facendo leva sul mai nascosto rancore del presidente USA nei confronti del Governo ucraino. Il tycoon aveva difatti già espresso ripetute critiche nei confronti del leader ucraino Volodymyr Zelensky. Un astio scaturito in parte dalle accuse di corruzione mosse contro il tycoon. E che ancora oggi potrebbe rivelarsi un possibile ostacolo al sostegno degli Stati Uniti nei confronti del Paese aggredito nella verosimile evenienza che il guru GOP riapprodi alla Casa Bianca dopo novembre.
Secondo Fiona Hill, membro dello staff del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Trump, “Putin stava fondamentalmente dicendo a Trump che non ci si poteva fidare dell’Ucraina e che non doveva dar loro nulla“. Per Tillerson, la strategia di Putin era un vero “trucco del KGB“, capace di insinuare dubbi e manipolare la visione di un interlocutore politicamente alle prime armi. Tecniche sviluppate dall’attuale presidente russo in virtù dei 16 anni trascorsi nell’ex servizio segreto sovietico.
Trump non ha mai nascosto i suoi rapporti con Putin, descrivendoli come “molto buoni”. E dicendosi certo che, se fosse ancora al potere, il leader russo non avrebbe mai avuto il coraggio di invadere l’Ucraina. Molti osservatori ritengono che proprio la vicinanza di Trump a Putin possa aver indebolito il sostegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina, in particolare durante la fase iniziale della guerra del Donbass e la crisi di Crimea (deflagrata quando però al potere c’era ancora l’amministrazione democratica di Barack Obama).
L’influenza di Putin su Trump è stata più volte oggetto di discussione, specialmente dopo che Trump avrebbe tentato di spingere Zelensky a indagare sul figlio di Joe Biden, Hunter, minacciando di bloccare gli aiuti militari destinati a Kyiv.
Zelensky e Trump si sono peraltro recentemente ri-incontrati a New York, con Trump che non ha fatto altro che ribadire la sua posizione, dichiarando un generico sostegno sia all’Ucraina che a Putin. “Abbiamo una relazione molto buona”, ha detto ai giornalisti, riferendosi all’ucraino. “E, come sapete, ho anche una relazione molto buona con il presidente Putin. Se vinco, penso che riuscirò a risolvere la situazione molto rapidamente”.