Una serie di esplosioni devastanti che illuminano il Libano. Walkie-talkie con il marchio ICOM, la stessa azienda giapponese che da oltre trent’anni fornisce dispositivi radio al Pentagono, diventati strumento di un attacco sanguinario da oltre 25 morti e 450 feriti. Poi un secondo attentato, appena 24 ore prima, che convince definitivamente gli Hezbollah libanesi a promettere la “ritorsione più violenta” dall’inizio della guerra a Gaza.
Cos’è successo davvero? E perché proprio quei dispositivi?
ICOM, gigante giapponese delle telecomunicazioni, ha costruito per decenni la sua reputazione fornendo attrezzature d’avanguardia alle forze armate americane. Dal 1998, l’azienda ha siglato contratti milionari con il governo di Washington – il più eclatante dei quali è consistito nella fornitura di 22.000 walkie-talkie per reparti speciali e di fanteria leggera. Apparentemente, una partnership d’oro.
Ma oggi, quel marchio che per decenni ha servito l’America in battaglia, è al centro di ben altre cronache. Martedì, centinaia di cercapersone utilizzati dai membri di Hezbollah sono esplosi simultaneamente tra Libano e Siria. Più di una decina di persone hanno perso la vita, tra cui due bambini. Il giorno successivo, un nuovo incubo: altra serie di esplosioni provocate da walkie-talkie, tutti marchiati ICOM. Ci sarebbe il Mossad israeliano dietro gli attacchi, ma non c’è alcuna conferma ufficiale.
Come è possibile che dispositivi così sofisticati siano stati trasformati in armi di distruzione?
Mentre il mondo si interroga, la ICOM corre ai ripari. Mercoledì l’azienda ha dichiarato di aver avviato un’indagine interna per capire se i suoi prodotti siano davvero finiti nelle mani sbagliate. E puntualizza una circostanza cruciale: il modello di walkie-talkie coinvolto non viene più prodotto dal 2014. Ma le contraffazioni sono dietro l’angolo. È forse questa la spiegazione?
Le domande aumentano. E non sono solo tecniche. Qual è il legame tra la vicenda e i contratti con il Pentagono? E soprattutto, quegli stessi walkie-talkie forniti alle forze americane potrebbero essere stati in qualche modo reindirizzati verso Israele? Il Pentagono, finora, tace.
Ma la tensione sale anche negli Stati Uniti. A sollevare la questione è stata la deputata progressista democratica Alexandria Ocasio-Cortez. “Il Congresso deve sapere cosa sta succedendo,” ha scritto su X, chiedendo una piena trasparenza sul possibile ruolo degli USA nella vicenda. Il Segretario di Stato Antony Blinken non ha tardato a rispondere: “Gli Stati Uniti non erano coinvolti, né erano a conoscenza degli attacchi,” ha dichiarato ai giornalisti.
Alla ICOM, intanto, continuano le indagini. Ma il danno è già fatto. Come è possibile che una tecnologia sviluppata per garantire la sicurezza sia diventata strumento di morte in uno dei teatri di guerra più complessi al mondo? E, soprattutto, cosa significa tutto questo per il futuro delle collaborazioni tra aziende come ICOM e i governi?
Dopotutto, il confine tra forniture militari e complicità in un conflitto complesso come quello palestinese è sottile. E la sensazione che questa storia sia tutt’altro che conclusa.