Come ha fatto Israele a far esplodere migliaia di cercapersone nelle mani di Hezbollah in Libano e in Siria? Prima di tutto: lo Stato ebraico non ha rivendicato l’attacco ufficialmente, ma per gli analisti è sicuramente responsabile, unica parte in causa che potesse sia desiderare l’evento, sia riuscire a organizzarlo.
I morti sono almeno 11, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, e la dinamica è solo in parte chiara. I feriti sono migliaia, molti gravi e con arti amputati, e fra loro ci sono molti civili raggiunti dalle esplosioni: non è possibile determinare quante delle vittime effettivamente facessero capo al movimento degli estremisti sciiti filo iraniani.
Le esplosioni sono avvenute in contemporanea alle 4 del pomeriggio di martedì, quando cercapersone e walkie-talkie sono scoppiati a Dahiyeh, quartiere periferico di Beirut; nella valle della Beqaa, e nel sud del Libano.

Secondo la BBC, numerosi rapporti di intelligence dicono che il Mossad, cioè i servizi segreti israeliani, aveva piazzato esplosivi in migliaia di cercapersone importati in Libano mesi fa. Sarebbero della azienda taiwanese Gold Apollo, modello AR-924, ma il fondatore Hsu Ching-Kuang afferma che che in realtà il produttore è l’azienda BAC a Budapest, in Ungheria: sulla base di un contratto firmato tre anni fa “noi forniamo solo il marchio” ha dichiarato, “non siamo coinvolti nella progettazione o nella commercializzazione”.
Un esperto di munizioni ha detto alla BBC che ogni pager potrebbe essere stato ‘caricato’ con 20 grammi di esplosivo.
Secondo Tracy Chamoun, ex ambasciatrice libanese in Giordania, che era alla guida della sua vettura nel sobborgo “roccaforte di Hezbollah”, le esplosioni hanno provocato il panico “con scene veramente orribili, un uomo con un occhio fuori dall’orbita, un altro con mezza faccia scomparsa. I pager hanno emesso un suono prima di esplodere per incoraggiare le persone a tirarli fuori dalla tasca o su dalla scrivania avvicinandoli al volto. La maggior parte degli interventi chirurgici sono stati agli occhi”.
Secondo diverse fonti di intelligence, l’attentato ha richiesto mesi di preparazione, ed è stata necessaria la presenza di agenti infiltrati all’interno del movimento Hezbollah. Secondo Haaretz, nel mondo del sabotaggio e della cyberwar si chiama un’operazione “bottone rosso”, ovvero un attentato preparato in anticipo per attivare le cariche esplosive più tardi in modo da cogliere di sorpresa il nemico. Israele ha penetrato la rete di comunicazioni di Hezbollah e installato i detonatori negli apparecchi distribuiti ai suoi membri: impossibile determinare quando e dove, ma si tratta di un lavoro estremamente professionale che farà scuola – e del resto anche gli attentati contro i leader di Hamas e i leader pasdaran iraniani degli ultimi mesi, a Beirut e a Damasco, avevano richiesto una profonda penetrazione nelle strutture nemiche.
Le conseguenze però rischiano di essere terribili. Negli ultimi 11 mesi di guerra a Gaza, Hezbollah e l’Iran – anche per la pressione della diplomazia occidentale – non hanno mai reagito in misura tale da scatenare un vero e proprio conflitto con Israele. Anche l’attacco iraniano contro Israele della notte di domenica 14 aprile 2024, rappresaglia per il bombardamento del consolato dell’Iran a Damasco, era stato ampiamente preannunciato e tale da essere bloccato dal sistema di difesa israeliano, il celebre “dome” antimissili. L’Iran, nonostante le minacce, non ha reagito dopo l’assassinio a Teheran del leader politico di Hamas, Ismael Haniyeh. Questa volta però l’attentato scuote e umilia profondamente gli estremisti sciiti filo iraniani, ed è difficile immaginare, data l’ampiezza dell’attacco, che non ci sia una rappresaglia. Il rischio dell’allargamento del conflitto è sempre più concreto.