Altro duro colpo per Boeing. Alle prime luci dell’alba di venerdì, gli operai degli stabilimenti sulla costa occidentale degli Stati Uniti hanno incrociato le braccia, dando vita al primo sciopero dal 2008. L’offerta contrattuale proposta dalla compagnia, ritenuta inadeguata, è stata respinta con una maggioranza schiacciante, bloccando di fatto la produzione del 737 MAX, l’aereo più venduto del colosso aerospaziale.
Lo sciopero arriva in un momento cruciale per Boeing, già sotto la lente d’ingrandimento per una serie di criticità accumulate negli ultimi mesi – tra cui il grave incidente di gennaio, quando un portellone si è staccato in volo su un 737 MAX dell’Alaska Airlines.
Il peso delle crisi ha trascinato giù il valore delle azioni, che venerdì, in apertura, hanno perso un ulteriore 2,8%, facendo segnare un crollo complessivo di quasi il 38% dall’inizio dell’anno. Con una capitalizzazione di mercato scesa di 58 miliardi di dollari, Boeing si trova ora ad affrontare una situazione finanziaria che rasenta il collasso, stretta tra una montagna di debiti e ritardi produttivi sempre più insostenibili.
Il contratto offerto dalla nuova amministrazione, guidata dal CEO Kelly Ortberg, includeva un bonus alla firma di 3.000 dollari e la promessa di mantenere la produzione del prossimo aereo commerciale nella regione di Seattle, ma il pacchetto è stato ritenuto insufficiente dai circa 30.000 membri del sindacato IAM (International Association of Machinists and Aerospace Workers). Con il 94,6% di voti contrari e una schiacciante maggioranza favorevole allo sciopero, i lavoratori hanno chiesto un aumento salariale del 40%, ben oltre il 25% proposto dall’azienda.
“Questo sciopero non riguarda solo il presente, ma anche il passato e il futuro dei lavoratori”, ha dichiarato Jon Holden, capo negoziatore del sindacato. La Boeing, dal canto suo, ha espresso la volontà di tornare subito al tavolo delle trattative.
Gli analisti avvertono che le ripercussioni economiche di uno sciopero prolungato potrebbero essere pesanti non solo per Boeing, ma anche per le compagnie aeree che dipendono dai suoi aerei e per i fornitori di componenti. Il precedente del 2008, quando gli impianti rimasero chiusi per quasi due mesi, costò all’azienda circa 100 milioni di dollari al giorno.