La strategia israeliana a Gaza è ormai consolidata: ogni obbiettivo è possibile se per l’esercito nasconde militanti di Hamas. Così l’attacco aereo sulla zona umanitaria di al-Mawasi a sud della città di Khan Younis, all’alba di martedì, ha ucciso almeno 40 persone secondo la protezione civile di Gaza, gestita da Hamas; “intere famiglie sono scomparse sotto la sabbia in buche profonde” ha detto il portavoce Mahmud Bassal.
L’esercito israeliano contesta il bilancio che “non corrisponde alle nostre informazioni”, mentre sostiene che i missili hanno ucciso diversi militanti palestinesi, che cita per nome, “coinvolti direttamente nell’esecuzione del massacro del sette ottobre”. Per Hamas, è una “sfacciata bugia”.
Accuse e controaccuse si rimpallano e le immagini del luogo dell’esplosione sono terribili. Si intende per “zona umanitaria” un territorio che ospita tendopoli di sfollati, dichiarata “sicura” da Israele, una delle poche della Striscia; a al-Mawasi si accalcano decine di migliaia di persone. Dopo undici mesi di guerra, pressoché tutta la popolazione di Gaza, oltre due milioni di persone, è sfollata e nell’impossibilità di lasciare la Striscia, sigillata su tutti i confini.
Intanto il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, da molto tempo in polemica con il premier Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che le capacità militari di Hamas sono state gravemente danneggiate dopo oltre 11 mesi di guerra e che l’organizzazione non esiste più come formazione militare a Gaza. “Hamas come formazione militare non esiste più. Hamas è impegnato nella guerriglia e noi stiamo ancora combattendo i terroristi di Hamas e perseguendo la leadership di Hamas”, ha detto il ministro ai giornalisti stranieri. Gallant ha anche aggiunto che è il momento di firmare un accordo per il rilascio degli ostaggi nella prima fase di un accordo di cessate il fuoco, e che sarebbe una “opportunità strategica” per Israele; portare a casa gli ostaggi “è la cosa giusta da fare”.
In luglio, l’esercito aveva annunciato l’uccisione di oltre la metà della leadership dell’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, e l’uccisione o l’arresto di oltre 14.000 militanti, sui 30-40.000 stimati che Hamas aveva all’inizio della guerra l’anno scorso.
Ma il premier e la parte oltranzista del suo governo di unità nazionale, nonostante le pressioni internazionali – anche da Giordania e Stati Uniti – e interne – con grandi manifestazioni di piazza che chiedono una tregua – resistono. Ufficialmente il governo israeliano richiede il controllo militare del cosiddetto Corridoio Philadelphi, al confine con l’Egitto, per evitare l’ingresso di armi e militanti da sud a Gaza. Hamas richiede il ritiro completo dell’esercito israeliano. Molte voci interne a Israele accusano però Netanyahu di usare la situazione per i propri vantaggi politici, cioè per restare al potere, perché un cessate il fuoco potrebbe essere la fine del suo lungo regno.
Circa 250 persone furono catturate da Hamas il 7 ottobre 2023 nell’efferato attacco che uccise altri 1.200 israeliani. 97 di loro, vivi o morti, sono ancora a Gaza; 33 sarebbero i corpi senza vita.