Donald Trump ha ottenuto questa mattina un temporaneo alleggerimento dei suoi problemi giudiziari: il giudice Juan Merchan ha rinviato la sentenza a dopo le elezioni che è già stata più volte rimandata, nel caso dei pagamenti in nero alla pornostar Stormy Daniels a pochi giorni dalle presidenziali del 2016. La condanna definitiva arriverà il 26 novembre per non interferire con il contesto attuale, ha riferito il giudice. A maggio una giuria popolare aveva riconosciuto l’ex presidente colpevole della falsificazione dei documenti contabili della sua società e aveva stabilito che il pagamento era un finanziamento illecito alla sua campagna elettorale perché le rivelazioni di Stormy Daniels lo avrebbero danneggiato politicamente.
“L’imposizione della sentenza – ha scritto il giudice – verrà rinviata per evitare qualsiasi apparenza, per quanto ingiustificata, che il procedimento sia stato influenzato o cerchi di influenzare le imminenti elezioni presidenziali in cui l’imputato è candidato. La Corte è un’istituzione giusta, imparziale e apolitica”.
“Ma mentre la sua decisione eviterà uno spettacolo in tribunale prima delle elezioni – scrive il New York Times – il ritardo stesso ne influenza il risultato, tenendo gli elettori all’oscuro sul fatto che il candidato repubblicano alla presidenza finirà per passare del tempo dietro le sbarre”.
Non è chiaro se la condanna avrebbe aiutato o danneggiato politicamente l’ex presidente. La decisione del giudice avrebbe potuto essere sia una imbarazzante macchia sulla sua fedina penale, ma anche alimentare le sue recriminazioni sul martirio politico che lui afferma sia coordinato dalla Casa Bianca democratica.
Per Trump è una buona notizia perché, anche se la decisione è solo rimandata, arriva a pochi giorni dal dibattito con Kamala Harris. Quando il giudice Merchan ha dato la notizia del rinvio l’ex presidente era in tribunale a New York per un altro dei tanti procedimenti giudiziari che lo vedono coinvolto, l’appello contro la condanna a risarcire 5 milioni di dollari alla giornalista e scrittrice E. Jean Carroll.
Dopo l’udienza, dall’androne della Trump Tower a Manhattan, l’ex presidente, che aveva annunciato una conferenza stampa, si è lanciato per 45 minuti in uno dei suoi strampalati sproloqui elettorali cercando di trasformarsi da imputato a vittima, rifiutandosi di rispondere alle domande dei giornalisti. “Sono io che dovrei denunciare lei”, ha detto riferendosi a E. Jean Carroll che lo ha accusato di violenza sessuale e diffamazione. “Non si ricorda neanche quando è avvenuto l’episodio. Si è inventata tutto dopo una puntata di Law and Order”. Poi è passato ad accusare il sistema giudiziario corrotto, gli inquirenti e i magistrati che avviano le indagini su ordine di Kamala Harris, cambiando l’oggetto degli insulti che fino a poco tempo erano riservati al presidente Biden.
Tra le tante invettive ha anche detto che Abc News, il canale che trasmetterà il dibattito il 10 settembre, cerca di avvantaggiarla. “Ha voluto farlo su Abc perché sono suoi amici, conoscerà tutte le domande in anticipo”, ha detto Trump che, dopo aver concluso il suo discorso, ha postato su Truth Social: “Il caso dovrebbe essere chiuso. Non ho fatto nulla di male”.
Harris, invece, è a Pittsburgh, in Pennsylvania, per prepararsi al dibattito. Secondo The Hill, la scelta è ricaduta proprio su questo Stato perché è cruciale per vincere a novembre. Ad aiutarla nella preparazione ci sarà Philippe Reines, ex consigliere di Hillary Clinton quando era segretaria di Stato, che interpreterà la parte di Trump. La candidata democratica ha anche ricevuto l’appoggio politico dell’ex vicepresidente repubblicano Dick Cheney. La figlia, l’ex parlamentare repubblicana del Wyoming che già nei giorni scorsi aveva dato il suo appoggio politico a Harris, intervenuta al Texas Tribune Festival di Austin, ha detto che lei e suo padre si uniscono a Jimmy McCain, il figlio più giovane del defunto senatore John McCain, tra le fila dei repubblicani di alto profilo che non sosterranno Trump nella corsa alla Casa Bianca.
Poco prima Harris aveva ricevuto il sostegno di circa novanta top manager, tra loro anche James Murdoch, il figlio di Rupert. Tra i firmatari di una lettera a sostegno della democratica, ci sono uniti: Peter Chernin, co-fondatore e partner del Chernin Group; Barry Diller, presidente di Iac ed ex CEO di Paramount; il capo di Yelp, Jeremy Stoppelman; e Michael Lynton, ex amministratore delegato di Sony Entertainment. Ma anche il miliardario Mark Cuban, proprietario dei Mavericks, la squadra di basket di Dallas e l’ex campione della NBA Earvin ‘Magic’ Johnson, oggi presidente e CEOdi Magic Johnson Enterprises. Ha ovviamente firmato Jeffrey Katzenberg, ex CEO di DreamWorks ed ex presidente degli studi Disney, che è stato uno dei grandi raccoglitori fondi di Biden prima che si ritirasse.