Kamala Harris e Tim Walz rilasciano la loro prima intervista congiunta questa sera alla CNN, e ci arrivano col miglior viatico possibile: un nuovo sondaggio Reuters/Ipsos condotto nell’ultima settimana, secondo cui il ticket democratico adesso ha un vantaggio di 4 punti percentuali fra gli elettori registrati rispetto alla coppia repubblicana Trump-Vance. Il margine di errore è di 2 punti.
Più interessante ancora: il vantaggio di Harris-Walz adesso è 13 punti fra le donne e fra gli elettori ispanici, in netta avanzata in questi due bacini così importanti per il partito, che apparivano ben poco elettrizzati dalla prospettiva di votare Joe Biden. In luglio, Harris aveva 9 punti di vantaggio fra le donne e 6 punti fra gli ispanici. Gli unici elettori a preferire Donald Trump attualmente sarebbero i bianchi e gli uomini – ma fra quelli senza laurea, l’ex tycoon è sceso da un vantaggio di 14 punti in luglio, ai 7 punti attuali.
Sull’onda dell’entusiasmo dopo la convention democratica di Chicago che li ha consacrati candidati ufficiali alla Casa Bianca, Harris e Walz hanno varato un tour in Georgia, stato cruciale anche per il voto nero, uno dei cosiddetti “swing states” o Stati incerti che saranno cruciali per l’esito della sfida di novembre.
L’intervista di questa sera sarà condotta dal capo della redazione politica di CNN, Dana Bash.
Sarà anche il primo colloquio approfondito che Harris concede a un giornalista da quando il presidente Joe Biden ha rinunciato alla corsa alla Casa Bianca per darle il suo supporto, il 21 luglio, dopo settimane di incertezze e dopo pesantissime pressioni da parte dei maggiorenti del partito.
Da allora sono passati 38 giorni e i rivali repubblicani hanno criticato Harris per non aver ancora concesso una intervista ufficiale. “È scandaloso, per Kamala Harris ma anche per molti media americani che avallano questa situazione” aveva detto per esempio il vicepresidente designato di Trump, JD Vance, in Wisconsin già a inizio agosto “avere una persona che è la candidata putativa del partito democratico da 17 giorni e che rifiuta di accettare anche solo una domanda dai media”.
L’intervista alla CNN dà a Harris la possibilità di chiarire le sue posizioni su diversi temi cruciali interni ed internazionali, in una campagna fin qui densa di emozioni ma leggerina dal punto di vista dei contenuti. Potrebbe anche indicare se, come e quanto le sue strategie da presidente sarebbero differenti da quelle di Joe Biden.
Prevedibilmente, al centro delle domande ci sarà anche la politica fiscale dell’eventuale amministrazione Harris. La candidata democratica intende aumentare le tasse sulle aziende e sulle famiglie ad alto reddito lasciando invece invariate o più basse le tasse della maggior parte degli americani. Secondo le anticipazioni del Wall Street Journal, le aliquote fiscali marginali massime raggiungerebbero il punto più alto dal 1986. Gli investitori più ricchi e i fondatori di aziende si troverebbero ad affrontare ingenti oneri fiscali sulle plusvalenze che non devono affrontare con la legge attuale. Le riscossioni totali del governo federale, stimate in 63 trilioni di dollari in 10 anni, rimarrebbero poco cambiate, ma l’amministrazione Harris cambierebbe la distribuzione delle imposizioni.
Appena eletta vicepresidente, così come durante la campagna del 2020 in cui si era presentata per la presidenza stessa, Harris aveva dato prove poco brillanti di oratoria, era spesso sembrata confusa e irritabile. Qualcosa da allora è cambiato. Nei suoi discorsi appare adesso galvanizzata, ed è stata decisa e convincente nei momenti successivi al 27 giugno, data del disastroso dibattito Biden-Trump in cui la performance del presidente in carica fu così disastrosa da segnare per sempre la sua candidatura. Nei giorni successivi comunque, Harris intervistata da Anderson Cooper sempre della CNN difese a spada tratta il presidente, una delle poche voci a schierarsi con decisione con Biden.
Quello di giovedì sera sarà quindi un punto di svolta: la campagna elettorale della candidata e del suo vice, incredibilmente breve per i parametri americani, entra in una nuova fase, la corsa finale. Obbiettivo, raggiungere tutti quegli elettori che nel 2020 fecero vincere Biden – appunto le donne, i neri, gli ispanici, fasce il cui entusiasmo è stato rivitalizzato dalla candidatura Harris – ma anche andarsi a prendere una fetta di indipendenti, e persino i repubblicani che non approvano l’ex presidente Trump. In Arizona, ad esempio, esiste un gruppo – ha scritto Newsweek – i Latter-day Saints for Harris-Walz, che sta facendo attivamente campagna per convogliare verso il campo democratico i voti dei 40mila mormoni dello Stato; i seguaci della Chiesa dell’Ultimo Giorno, conservatori per definizione, sono in genere un bacino elettorale repubblicano senza tentennamenti.
L’altro appuntamento cruciale a breve termine per Harris dovrebbe essere il dibattito del 10 settembre alla ABC con il rivale repubblicano – se l’ex presidente Trump si presenterà davvero. In varie dichiarazioni degli ultimi giorni ha lasciato intendere che la scelta dell’emittente non rispetterebbe le necessarie, secondo lui, condizioni di imparzialità. Ma la campagna Trump sembra non aver ancora assorbito il colpo dell’arrivo alla ribalta di Kamala Harris.
L’ex presidente ha arruolato nella sua squadra di transizione (in caso di vittoria) l’ex indipendente Bobby F. Kennedy Junior (la cui conversione al trumpismo irrita la famiglia più delle sue numerose eccentricità) e l’ex democratica Tulsi Gabbard. Si vocifera che Kennedy potrebbe andare a prendere il posto del vicepresidente designato JD Vance, che si rivela un compagno di viaggio poco affidabile. La strategia di Trump sembra sempre di più avere gli insulti come unica arma.