Sulle spalle la kefia, i delegati “uncommitted” del Minnesota che si coprono la bocca con la mano tinta di “arms embargo” in rosso. E poi il tentativo insorgere dalla platea dello United Center represso nel giro di trenta secondi. Durante il discorso del presidente Joe Biden per la prima sera della Convention Democratica, le proteste pro-Palestina sono entrate dentro all’arena di Chicago. Nel pomeriggio di lunedì, decine di manifestanti erano riuscite a sfondare una recinzione del perimetro imposto dai Servizi Segreti: sono stati subito fermati, rimossi senza l’uso dei manganelli e il recito ripristinato in tempo record.
Da giorni, una coalizione di 241 associazioni aveva annunciato delle manifestazioni in contemporanea alla Convention Democratica, per attirare l’attenzione del mondo politico sulla guerra nella Striscia di Gaza. Erano attese centinaia di migliaia di persone provenienti da tutti gli Stati Uniti e l’amministrazione di Chicago ha risposto schierando circa 28.000 agenti.


In realtà, lunedì all’Union Park, il punto di ritrovo per le proteste a qualche chilometro dallo United Center, c’erano meno partecipanti del previsto e la manifestazione è stata sempre pacifica, almeno fino a metà pomeriggio. Uomini, donne, giovani, studenti universitari che avevano partecipato agli accampamenti di maggio, leader dei diversi gruppi e anche bambini, soprattutto residenti o provenienti dallo Stato dell’Illinois.
Oltre ai soliti cartelli e striscioni – da quelli già visti, del tipo “Killer Joe”, “Peace Now”, “Stop the genocide”, a quelli inediti, come “Pensate che Hamas sia caduto da una palma da cocco?” –, gli iscritti alle diverse associazioni si sono organizzati con magliette brandizzate fatte apposta per l’occasione. Per esempio, chi sfila con CODE PINK, una non-profit che raccoglie “le donne per la pace” nata durante le proteste per la guerra in Iraq nel 2002, indossa una maglietta rosa shocking con al centro una mano piena di braccialetti, che riprendono slogan a sostegno della Palestina, e le unghie dipinte con la fantasia di un cocomero. Attorno, un tulipano giallo e la scritta: “Le femministe stanno per pace, non per l’occupazione e il genocidio!”. Oppure i manifestanti di Jewish Voice for Peace, l’unica organizzazione ebrea di tutto il contingente che contava ieri un centinaio di persone, vestono delle semplici T-shirt rosso fuoco con il loro nome.


E ancora, kefie di diversi colori e dimensioni sulle spalle, mascherine e occhiali da sole per coprirsi il volto. Benny Wise, sulla settantina, gira per la folla con un ombrello con centinaia di spille attaccate, con immagini di Harris, Biden, Trump, slogan pro-Palestina: “Bisogna chiedere la pace ogni giorno e non è che possiamo entrare nei supermercati o girare per strada con i cartelloni. Questo è il modo più comodo per sostenere la causa”. Crea questi stemmi da oltre quarant’anni e lo fa perlopiù gratuitamente. I 5 dollari che le persone sono libere di versare o meno al momento dell’“acquisto” servono a finanziare manifestazioni di questo genere.
La fantasia di cocomeri – diventati simbolo della pace a Gaza – è riprodotta in tutte le versioni, dai cappelli alle magliette, ai disegni sugli striscioni, ai kippah (pochi). Immancabile sulle braccia, gambe o caviglie, il numero degli avvocati scritti a penna nel caso, estremo, ma possibile, in cui qualcuno di loro venisse arrestato e avesse bisogno di sostegno legale gratuito.
Giovi, una ragazza di CODE PINK da Chicago, ha spiegato che l’associazione avrebbe comunque organizzato qualcosa sapendo che la Convention si sarebbe svolta in casa. In questo caso specifico, “ci uniamo per protestare contro la guerra a Gaza”. Alla domanda sul voto, risponde che “non siamo un gruppo politico. Noi vogliamo la pace. Non abbiamo ancora parlato di novembre”.


E della stessa opinione è Javgveni di Jewish Voice for Peace da Chicago che dichiara: “Novembre è già troppo lontano. Rispetto ai repubblicani, i democratici possono fare qualcosa per cambiare. Innanzitutto, perché ascoltano i propri elettori e perché sono al potere in questo momento, alla presidenza con Joe Biden e al Senato. Quante altre persone dovranno morire ancora?”.
“Ma ci tengono a specificare che non è una questione di partito, quanto più politica”, riprende Javgveni. Effettivamente, “killer” è Trump tanto quanto Biden e Harris con loro. E quando viene chiesto ai manifestanti che cosa voteranno a novembre si irrigidiscono o rispondono con un ironico, “bella domanda”, chiedendo l’anonimato un secondo dopo.
Le richieste sono chiare: l’embargo sulle armi e il cessate il fuoco.
Tutti i giorni fino a giovedì, le proteste partono alle 12 a Union Park con diversi interventi da parte dei rappresentanti delle 241 associazioni che si sono riunite e si concludono attorno alle 17 nello stesso punto di partenza, con una marcia che attraversa Park 578, Washington Boulevard, Maypole Avenue, Damen Avenue e Lake Street.



