Un fulmine a ciel sereno. L’ex ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, che meno di due settimane fa aveva accettato di far parte del nuovo governo di Masoud Pezeshkian come suo vice per gli affari strategici, ha deciso di dimettersi per incomprensioni con il nuovo leader riformista di Teheran.
Fonti ben informate sostengono che la scelta di Zarif sia stata dettata dal malcontento per l’atteggiamento di Pezeshkian, che avrebbe sostanzialmente ignorato le raccomandazioni elaborate dal team di transizione guidato dallo stesso Zarif. A pesare anche il tentativo dei conservatori di estromettere Zarif sfruttando una legge che vieta ai funzionari con legami con l’Occidente di ricoprire cariche pubbliche (Zarif ha trascorso anni come rappresentante iraniano presso le Nazioni Unite a New York e i suoi figli sono nati negli Stati Uniti).
Zarif ha informato Pezeshkian delle sue dimissioni poche ore prima che quest’ultimo rendesse noti i nomi dei suoi ministri al parlamento – con scelte che peraltro hanno deluso molti dei sostenitori che si auspicavano un governo più giovane e inclusivo. Tra le nomine più criticate c’è quella di Esmail Khatib, confermato come ministro dell’Intelligence nonostante le gravi falle nella sicurezza interna, tra cui il blitz israeliano a Teheran che ha ucciso il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh. L’età media dei candidati supera i 60 anni, con solo due ministri sotto i 50 e una sola donna, Farzaneh Sadeq, nominata al Ministero delle Strade e dello Sviluppo Urbano. E a far discutere è anche l’assenza di rappresentanti delle minoranze religiose.
La nomina di Zarif come vice per gli affari strategici era stata vista come un segnale di cambiamento. La campagna elettorale di Pezeshkian aveva guadagnato slancio proprio grazie al supporto attivo dell’ex ministro degli Esteri di Hassan Rouhani, che aveva fatto il giro del Paese e partecipato a numerosi dibattiti televisivi attaccando i conservatori e difendendo l’operato del precedente (e del futuro) esecutivo riformista.
Le dimissioni di Zarif richiamano alla mente il suo tentativo di lasciare il governo nel 2019, quando era ministro degli Esteri di Rouhani. Allora, la causa scatenante fu una visita non annunciata a Teheran del presidente siriano Bashar al-Assad. Questa volta però la posizione di Zarif sembra essere inflessibile, indipendentemente dall’esito delle discussioni con Pezeshkian, che rischia di perdere il sostegno cruciale dell’elettorato riformista e moderato per far fronte comune contro i falchi conservatori.
Un’avvisaglia del futuro dell’Iran arriverà già il prossimo 17 agosto, quando il parlamento sarà chiamato a votare i candidati ministeriali. Nel caso (improbabile) di una bocciatura, Teheran rischia seriamente di ripiombare in una crisi politica.