Una donna potrebbe arrivare alla Casa Bianca. Sarebbe troppo ardito pensare a un ticket con una vicepresidente per Kamala Harris? Secondo molti commentatori sì: hanno paura che gli Stati Uniti non siano ancora pronti a una presidente, figuriamoci a una struttura di potere tutta di donne. Sta di fatto però che Harris non ha ancora scelto il suo vice; i nomi che circolano sono tutti di uomini (dal senatore dell’Arizona Mark Kelly al governatore della Pennsylvania Jon Shapiro) e la candidata in pectore ha ricevuto la documentazione necessaria per il processo di vetting, la valutazione dei candidati – e dei loro eventuali scheletri nell’armadio.
Ma Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan, la pensa diversamente. “Certo che l’America può avere due donne nel ticket. Abbiamo avuto due uomini dall’alba dei tempi” ha osservato durante un incontro elettorale a Durham, in New Hampshire, dove stava facendo campagna per Harris. “Abbiamo avuto grandissime donne governatrici in molti Stati. Le donne sanno fare le cose, e due donne sono meglio di una”. La cosa non la riguarda direttamente, ha aggiunto: “ho detto chiaramente che intendo arrivare alla fine del mio mandato da governatrice e non vado da nessuna parte, posso essere un’alleata migliore in Michigan per una amministrazione Harris”.

Se non lei, chi, però? Whitmer era copresidente della campagna Biden e ora è copresidente della campagna Harris. L’annuncio che Joe Biden si ritirava dalla corsa per la Casa Bianca è giunto “come una sorpresa totale”, ha assicurato.
“Ma è stata la decisione giusta. Kamala Harris è stata il suo numero due per quattro anni: se Biden si ritira nessuno dovrebbe stupirsi che sia lei a sostituirlo” ha detto.
Il clima in campo democratico è di entusiastica esultanza e rinnovata speranza in questi giorni, fra le donazioni record, i sondaggi che segnalano il recupero di Harris sull’avversario Donald Trump, gli endorsement piovuti come una danza ben orchestrata da pezzi grossi del partito come Nancy Pelosi e infine Barack Obama, il coinvolgimento dei giovani democratici, ma più di tutto il viso raggiante e l’oratoria ritrovata, incisiva della vicepresidente con i suoi attacchi diretti a Trump.
Quasi quattromila delegati si riuniranno in agosto a Chicago per la Convention democratica che incoronerà Harris. Il nome del vicepresidente però verosimilmente arriverà prima.

La scelta del vicepresidente è un momento delicato. Barack Obama nel 2008, in corsa per diventare, come poi fu, il primo presidente nero, scelse Joe Biden perché era un politico di lungo corso, esperto, bianco e presumibilmente rassicurante. Alla stessa stregua, Kamala Harris dovrebbe scegliere qualcuno che le faccia da contraltare: bianco, uomo, in grado di ammiccare agli elettori centristi.
Se una cosa gli Stati Uniti hanno dimostrato più e più volte, però, anche con l’elezione di Barack Obama e persino con quella di Donald Trump nel 2016, è la capacità di sognare in grande: mai sottovalutare il potere di una bella storia di successo per il pubblico americano. D’altra parte, quando si tratta di sognare con le donne protagoniste, il meccanismo si inceppa ancora. Lo sa bene Hillary Clinton, sconfitta da Obama nelle primarie democratiche del 2008, e da Trump nella corsa alla Casa Bianca nel 2016.