Sorrisi e strette di mano alla Casa Bianca tra il presidente Joe Biden e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in visita a Washington. Una riunione fra i due durata più di 5 ore alla quale, nel tardo pomeriggio, si è unita anche la vicepresidente Kamala Harris. Dopo i colloqui c’è stato un incontro con i familiari degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas.
Non c’è stata una dichiarazione congiunta e solo questo fa capire che gli incontri non sono andati per il meglio. Solo Kamala Harris, da sola, lasciando la sala della riunione ha detto dopo di aver espresso a Netanyahu “i miei timori per le morti civili. Non resterò in silenzio di fronte alle sofferenze di Gaza. È il momento che la guerra finisca e che si trovi un accordo”.
Incontri che arrivano in un momento di forti pressioni, sia su Israele che sugli Stati Uniti, per trovare una soluzione agli scontri che, in quasi 10 mesi, hanno causato decine di migliaia di morti a Gaza mentre un imprecisato numero di ostaggi israeliani è ancora nelle mani di Hamas. Il “riscatto” che i leader palestinesi chiedono per il loro rilascio è stato più volte respinto da Netanyahu che continua a martellare la Striscia. Finora la politica delle cannonate non ha prodotto i risultati sperati. Gli ostaggi sono ancora nelle mani dei rapitori.
Per questo motivo il leader israeliano è contestatissimo in patria. I parenti degli ostaggi chiedono la cessazione delle ostilità per avere la liberazione dei rapiti. La sua coalizione al Parlamento si regge solo perché l’opposizione, per ora, non vuol far cadere il governo con la guerra in corso.
Biden, d’altro canto, è un presidente di fine mandato. È stato molto chiaro, ieri sera, nel discorso di addio: farà di tutto affinché gli ostaggi israeliani vengano rilasciati. Lui, “anatra zoppa” alla Casa Bianca, non ha più nulla da perdere, ma con le elezioni alle porte le opzioni per imporre una tregua agli scontri sono limitate. Bloccare la spedizione delle armi a Israele se Netanyahu non raggiungerà un accordo con Hamas sarà un suicidio politico per i democratici. Nello stesso tempo il premier israeliano ha ora bisogno di tornare a Tel Aviv con un successo. Deve continuare a dire che gli Stati Uniti sono con lui dopo che in questa complicata situazione è scesa in campo Kamala Harris, che non nasconde la sua personale opposizione alla sua politica e che potrebbe essere eletta alla Casa Bianca.
La vicepresidente continua a rosicchiare i punti di svantaggio che il ticket democratico con Biden aveva contro Trump. Da quando si è candidata il distacco con l’ex presidente è di pochi punti di percentuale, e la campagna è appena all’inizio. Per il leader israeliano puntare sulla vittoria di Trump e dei repubblicani a novembre è una scommessa troppo azzardata e che comporterebbe uno stallo nei negoziati con Hamas di altri tre mesi, cosa che non si può permettere.
Anche Donald Trump, con il quale Netanyahu si vedrà domani a Mar-A-Lago, intervistato da Fox News, ha detto che il leader israeliano deve “finire la guerra e farlo in fretta, perché lo stanno uccidendo con questa pubblicità”. “Lo Stato di Israele non è molto bravo con le pubbliche relazioni”, ha poi aggiunto l’ex presidente, ricordando che “deve riprendersi il suoi ostaggi” anche se crede che “molti di loro, forse, sono morti”. “Il 7 ottobre non sarebbe mai successo se io fossi stato presidente. Nessuna possibilità: l’Iran era sul lastrico, non avrebbero avuto i soldi per Hamas o Hezbollah”, ha detto ancora Trump.
La Casa Bianca da giorni afferma che un accordo per il cessate il fuoco sarebbe imminente.
La prima fase dell’accordo prevederebbe una pausa di sei settimane nei combattimenti e il rilascio di alcuni ostaggi. La seconda proseguirebbe con la cessazione delle ostilità, mentre Hamas e Israele negozierebbero un cessate il fuoco permanente, determinando il ritiro delle forze israeliane da Gaza.
“Rimangono ancora alcune lacune”, ha detto al Washington Post John Kirby, portavoce della Casa Bianca, mentre l’incontro era in corso. “E i colloqui con il primo ministro vengono svolti per colmare queste lacune”. Kirby ha poi aggiunto che l’Iran ha finanziato e incoraggiato le proteste negli Stati Uniti.