Ha un’anima italiana la grande scultura che in questi giorni, se si è fortunati e il tetto è aperto, si riesce ad ammirare sul rooftop del Metropolitan Museum of Arts.
Il titolo “Abetare”, dato alla scultura in acciaio inossidabile di Petrit Halilaj commissionata dal MET, era il nome di un manuale alfabetico illustrato albanese, che l’artista, oggi 38enne, aveva imparato da bambino.
Halilaj nacque in un villaggio rurale vicino alla città di Runik, in Kosovo, nel 1986. Nel 1998, quando il suo Paese era sotto l’occupazione serba e la sua casa era stata incendiata, è rimasto per più di un anno in un campo profughi albanese chiamato Kukes. Racconta il New York Times che lo psicologo italiano Giacomo Poli si trovava nello stesso campo per studiare gli effetti dei traumi causati dalla guerra sui giovani. Poli incoraggiò Petrit a disegnare le atrocità a cui aveva assistito e le scene di pace che gli davano conforto. Le immagini che ne risultarono furono molto apprezzate e la strada di Halilaj verso la carriera artistica fu tracciata.
Dopo aver frequentato una scuola d’arte in Italia, si è trasferito a Berlino. Da allora ha rivisitato periodicamente il Kosovo, la patria a cui tiene ancora molto e la cui storia e memoria sono state la fonte di gran parte del suo lavoro.
Per la sua prima apparizione alla Biennale di Berlino del 2008 ha costruito una versione in scala reale della casa distrutta dei suoi genitori a Runik, e quando, durante un viaggio là nel 2010, ha saputo che la sua ex scuola elementare stava per essere svuotata e demolita, ha recuperato alcuni dei vecchi banchi. Ha poi registrato minuziosamente, con schizzi e fotografie, esempi di graffiti che ricoprivano le loro superfici. Per la versione della mostra, che si estende sul Roof Garden, attaccata ai muri e nascosta negli angoli, l’artista ha ampliato la portata geografica del suo materiale, rintracciando e documentando i graffi e gli scarabocchi dai banchi di altri Paesi balcanici – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro – che hanno subito l’aggressione serba dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia. È proprio questo archivio di immagini ampliato che costituisce la base dell’installazione al MET, organizzata da Iria Candela, curatrice del museo per l’arte latinoamericana.
Attenzione: la galleria questo luglio chiude non solo in caso di pioggia, ma anche se fa troppo caldo. Quindi vale la pena di controllare il sito del museo che ogni mattina riporta una lista di sale chiuse.
Petrit Halilaj, Abetare
30 aprile – 27 ottobre,
Metropolitan Museum of Art, 1000 Fifth Avenue; (212) 535-7710, metmuseum.org.