È stato il segretario della CGIL, Maurizio Landini, a depositare in Corte di Cassazione a Roma il referendum che vuole abolire la riforma costituzionale sull’autonomia differenziata. Non era solo: attorno a lui quello che la segretaria del Partito Democratico, il più grande dell’opposizione, ha definito “un rassemblement della sinistra”.
È solo il primo passo del lungo percorso che potrebbe portare gli italiani alle urne nella primavera del 2025 per un voto che può profondamente cambiare il destino del paese. In concreto, è il contrattacco dell’opposizione di fronte alla riforma approvata a maggioranza semplice dal governo Meloni, riforma che concede a ognuna delle 20 regioni italiane di depositare una richiesta di autonomia su un ventaglio larghissimo di temi: sanità, fisco, scuola, e persino rapporti con l’estero.
“Pensiamo che occorra cancellare la legge sull’autonomia differenziata perché porta a differenziare i diritti, porta a un arretramento dei diritti e delle libertà” ha sintetizzato Landini.
FAVOREVOLI E CONTRARI
Per i favorevoli, cioè le forze di governo e in primis la Lega che l’ha fortemente voluta, questa riforma porterà libertà ai governi regionali e offrirà maggiore margine di manovra a tutti. Per i contrari, è l’esatto opposto: il governo ha ceduto alle richieste della Lega che ricalcano l’antico sogno federalista se non secessionista del partito, per distaccarsi il più possibile da Centro e Meridione d’Italia, ovvero le regioni economicamente molto più arretrate. Il partito di Giorgia Meloni, storicamente nazionalista, avrebbe accettato solo per ottenere l’ok della Lega alla riforma sull’elezione diretta del premier ancora in discussione in parlamento.
Ma l’autonomia differenziata rischia, dicono gli oppositori, di devolvere ancora più soldi dello Stato alle regioni del Nord che ne faranno richiesta, lasciando indietro le altre. Peggio: anche se la riforma prevede dei “livelli minimi” comuni che ogni regione dovrà fornire ai propri cittadini, il centrosinistra ritiene intollerabile un paese dove la scuola e la sanità pubblica non garantiscano le stesse opportunità, e dove invece di cercare di costruire la coesione nazionale che ancora manca, si lasci che le differenze aumentino.
IL QUESITO REFERENDARIO
Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, `Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione? Questo il quesito che gli elettori troveranno sulle schede. Per abrogare la riforma servirebbe quindi rispondere “Sì”.
COME FUNZIONA
Il quesito di un referendum abrogativo per Costituzionale deve essere depositato in Cassazione. Si passa poi alla raccolta di almeno 500mila firme o alla richiesta di 5 regioni: ci stanno lavorando Emilia Romagna, Campania, Toscana, Puglia e Sardegna, tutte governate dal centrosinistra. In ogni caso la raccolta firme andrà avanti per dare un segnale al governo. In seguito il quesito passa alla Corte Costituionale che ne valuta l’ammissibilità. Ultimo atto, se il quesito viene approvato: il ricorso alle urne. Ma perché il risultato sia valido, deve raggiungere il cosiddetto quorum, ovvero è necessario che vada a votare almeno il 50% degli elettori.
IL “RASSEMBLEMENT” DEMOCRATICO
In Cassazione oggi c’era anche la segretaria del Pd Elly Schlein “Siamo molto felici, è una bella giornata, siamo tanti fra forze politiche e forze sociali, associative, sindacali. Con la riforma chi nasce in Calabria avrà meno opportunità di chi nasce in Lombardia e questo per noi è inaccettabile. Questa riforma porta avanti l’idea senza senso di avere 20 politiche energetiche diverse, quando invece avremmo bisogno di una unica politica energetica a livello europeo.”
E ancora, tutti rinvigoriti dalla vittoria laburista in Gran Bretagna, e con gli occhi alla Francia dove domenica il Nuovo Fronte Popolare cercherà di fermare la destra di Marina Le Pen, oltre a Schlein c’erano i leader di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni; Maria Elena Boschi; Riccardo Magi, leader di + Europa; Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, Alessandra Maiorino e Alfonso Colucci del M5S, e Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale della Rete dei numeri Pari.
Presente anche Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle: “Stiamo offrendo, con questo referendum, l’occasione ai cittadini di contrastare lo “Spacca Italia”. Lo firmeremo tutti insieme per evitare la condanna a morte della sanità, dell’istruzione, delle infrastrutture specialmente nelle aree più in difficoltà del Paese e per evitare che un macigno arrivi sulle imprese del Nord che rischiano di essere soffocate da 20 democrazie. Non ci fermeranno con calci e pugni, sventoleremo il tricolore dell’Italia e dell’unità”; un riferimento alla rissa scoppiata in Senato nei giorni dell’approvazione in cui un parlamentare Cinque Stelle è stato picchiato in aula da alcuni esponenti della maggioranza. In quei giorni in aula è successo un po’ di tutto, con applausi da una parte e urla “vergogna” dall’altra, tricolori e inno di Mameli dai banchi dell’opposizione, bandiere delle regioni e della Serenissima che sventolavano dagli scranni della Lega.