Il dicastero per la Dottrina della Fede del Vaticano ha scomunicato latae sententiae monsignor Calo Maria Viganò accusato di scisma.
Ieri il Congresso si è riunito per concludere il processo penale extragiudiziale a carico dell’arcivescovo e ex ambasciatore negli Usa per la Santa Sede.
Il Sant’uffizio nella motivazione della sentenza ha dichiarato; “Sono note le sue affermazioni pubbliche dalle quali risulta il rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II”.
All’esito del processo penale, si sottolinea “mons. Carlo Maria Viganò è stato riconosciuto colpevole del delitto riservato di scisma. Il dicastero ha dichiarato la scomunica latae sententiae”.
La rimozione della censura aggiunge la nota “è riservata alla Sede Apostolica, e gli esiti della sentenza sono stati comunicati immediatamente al prelato”.
La scomunica vaticana per Viganò è un’estromissione totale dalla Chiesa, non potrà celebrarne né ricevere i sacramenti, reo di aver commesso uno dei crimini più gravi del diritto canonico: lo scisma.
La scomunica è tuttavia una censura non perpetua e può essere rimossa nel caso in cui l’accusato dia prova di vero pentimento; viene prevista in tre casi: apostasia, eresia e appunto scisma, considerato particolarmente grave per la fede perché minaccia l’unità della Chiesa.
Il religioso negli anni aveva creato un seguito di conservatori e tradizionalisti che seguivano le sue convinzioni, mentre approfondiva sempre più le teorie del complotto che andavano dalla pandemia di coronavirus, a quelle che definiva il “Grande Reset”.
Viganò era stato convocato in Vaticano il mese scorso, per rispondere alle accuse di scisma e di negazione della legittimità del papa, ma aveva risposto in tono ironico che considerava tale “invito un onore”. Aveva inoltre precisato di non voler prendere parte al procedimento disciplinare perché non accettava la legittimità delle istituzioni che lo sostenevano.
In una dichiarazione rilasciata la scorsa settimana, l’alto prelato aveva ribadito: “Non riconosco l’autorità del tribunale che pretende di giudicarmi, né del suo prefetto, né di colui che lo ha nominato”.
L’arcivescovo aveva quindi confermato il suo rifiuto del Concilio Vaticano II, definendolo “il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la ‘chiesa sinodale’ (di Francesco) è la metastasi necessaria”.