Fra l’ultraconservatore Saeed Jalili e il riformista Massoud Pezeshkian nessuno dei due è riuscito a guadagnarsi la maggioranza assoluta per vincere al primo turno di elezioni presidenziali. Gli iraniani torneranno a votare il 5 luglio. Non accadeva dal 2005.
In totale sono state scrutinate 24,54 milioni di schede: 10,41 milioni (il 42% circa) a favore di Pezeshkian e 9,47 milioni (il 38%) a Jalili. Gli altri due candidati, il presidente conservatore del Parlamento Mohamad Baquer Ghalibaf e Mostafa Pourmohammadi sono stati schiacciati con milioni di voti di differenza.
Pezeshkian è stato cardiochirurgo ed ex ministro della Salute. Pur rimanendo fedele ai princìpi della Repubblica islamica dell’Iran, sostiene una possibile apertura del Paese a investimenti stranieri per migliorare la situazione economica e i rapporti con l’estero. Ha criticato duramente l’applicazione coercitiva dell’obbligo delle donne di indossare l’hijab negli spazi pubblici – che è diventata tematica centrale in questa campagna elettorale in seguito al movimento scoppiato con la morte di Mahsa Amini nel 2022.
Jalili, invece, riceve il consenso di tutta la parte più conservatrice del Paese. È un ex negoziatore nucleare diventato segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale. È favorevole all’isolazionismo: preferirebbe che l’Iran si concentrasse sulla propria economia per essere completamente autonomo e indipendente.
Ma il dato sorprendente è l’affluenza: meno del 41%, la più bassa nella storia elettorale del Paese. Secondo gli analisti, questa percentuale è dovuta al disinteresse dei progressisti iraniani nei confronti dei candidati. Non è detto che nello scontro diretto della prossima settimana non decidano di parteciparvi e dimostrare sostegno a Pezeshkian.
Queste sono elezioni straordinarie, indette in seguito alla morte del presidente iraniano in carica Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero lo scorso maggio. Qualsiasi sarà il risultato al ballottaggio, comunque il capo del governo in Iran ha poteri limitati: è responsabile di applicare gli indirizzi politici stabiliti dalla Guida Suprema, che in questo caso è Ali Khamenei, capo dello Stato e della religione.