Lo status quo non è un’opzione per l’umanità. Mentre l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite descrive l’adattamento climatico come la più grande sfida per le nostre città, è proprio l’ambiente costruito a essere responsabile di quasi il 40% delle emissioni di CO2. Questo dilemma riguarda il ruolo degli architetti e dei costruttori, che sono al tempo stesso corresponsabili della situazione, ma anche determinanti nel proporre future soluzioni creative di adattamento.
In passato ci siamo affidati esclusivamente all’innovazione tecnologica e alla lezione dei grandi maestri, che ci hanno condotto ad un accumulo di macchine energivore, e di facciate continue di vetro che non tengono conto delle caratteristiche climatiche dei luoghi. È giunto il momento di guardare alla storia dell’architettura e alla tecnologia in modo più coerente per trasformare i problemi in opportunità e soluzioni.
La città compatta medievale, soprattutto quella del Mediterraneo, per esempio, è spesso presa a modello di resilienza per la sua capacità, ancora oggi, di rispondere positivamente alle sfide del clima e per essere durata più a lungo rispetto a qualsiasi altra forma urbana. Il successo di questo modello si deve alle strade ombreggiate, brulicanti di vita, dagli usi misti degli edifici, dagli spazi pubblici e privati ibridi, e dall’integrazione con la natura e con il paesaggio. Questi sono il risultato di un processo creativo più collettivo, di segno opposto rispetto a quello più autoriale e individualista, per esempio, della città moderna.
I progettisti devono abbandonare le aspirazioni da archistar e immaginare una forma più partecipata alla progettazione, che favorisca la collaborazione con esperti con competenze diverse.
In quest’ottica, dovremmo rivedere le nostre preoccupazioni verso l’intelligenza artificiale (IA) generativa. Questa potrebbe essere vista non tanto come un’alternativa artificiale alla creatività umana, ma, piuttosto, come un’estensione della creatività collettiva che abbiamo utilizzato per costruire le grandi cattedrali gotiche, che sono un complesso assemblaggio di idee provenienti da luoghi e maestranze diverse. Altrettanto, l’arcana IA consente di generare immagini attraverso l’associazione di altre immagini contenute in un archivio (dataset).
Anche il modo in cui questa associazione avviene è frutto della creatività umana, che ne stabilisce le regole. Con gli algoritmi della IA si riscopre il concetto dello stile, cioè delle regole ordinate per realizzare componenti che sono simili e allo stesso tempo diverse tra loro e rispetto all’originale. Il superamento della ripetitività industriale di ogni prodotto, e quindi del copyright, spiega la ragione della diffidenza nei confronti dell’IA, che nasconde la paura per l’abbandono del ruolo eroico dell’architetto celebrato per la sua capacità di risolvere i problemi per tutti.
Riflettendo sulla storia, e utilizzando l’IA per potenziare la creatività, ed ipotizzare scenari futuri più complessi e realistici di quelli di cui siamo capaci individualmente, possiamo quindi forse disegnare, costruire e mantenere strutture che producono meno emissioni di CO2 e ci consentono di affrontare le sfide future. Sacrificare l’autorialità individuale per il bene comune è un piccolo prezzo da pagare per adempiere alle nostre responsabilità verso il pianeta, e, forse, per evitare l’estinzione.