I conservatori moderati restano il primo partito, ma la destra avanza. Sono solo stime, quelle che fornisce per ora il Parlamento europeo tramite il suo sistema Verian: stime basate su proiezioni, exit poll e altri dati elettorali per la composizione degli eurodeputati nella prossima legislatura a Bruxelles.
Dato fondamentale, l’avanzata della destra estrema in diversi Paesi: in Francia dove il RN di Marine Le Pen diventa il primo partito con oltre il 30% e surclassa il presidente Emmanuel Macron. Più del doppio dei voti: il capo dello Stato ne ha tratto le conseguenze immediate, è andato in televisione ad annunciare lo scioglimento delle Camere e il voto anticipato il 30 giugno, tentativo di chiedere al Paese – e ai tanti astensionisti – se è questo che vogliono. Insomma, un primo terremoto da questo voto europeo è già uscito.
La destra cresce anche in Germania dove l’AfD è secondo partito (primo nella ex Germania est); in Spagna dove Vox cresce; in Austria dove la destra è primo partito. In Italia, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni è già partito di maggioranza a Roma; i seggi sono ancora aperti nel Belpaese.
Ma il secondo dato è che crescono anche i conservatori del Partito Popolare (che racchiude la CDU tedesca, il PP spagnolo, Forza Italia ex partito di Berlusconi): secondo i dati Verian, sui 720 seggi dell’Eurocamera ne prenderebbero 186. 133 andrebbero – il condizionale è d’obbligo – al gruppo dei Socialisti europei (che include i socialisti francesi, il Psoe al governo in Spagna, il PD in Italia). 36 ai partiti più a sinistra dei socialisti, 53 ai Verdi, 82 ai moderati di Renew Europe (che include il partito del presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha perso la maggioranza relativa).
E a destra? I Conservatori e Riformisti Europei (ECR) cioè il gruppo, che include fra l’altro Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e lo spagnolo Vox, avrebbe 70 seggi. 60 andrebbero a ID (Identità e Democrazia), il gruppo apertamente euroscettico in cui siedono la Lega di Salvini e il Rassemblement National di Marine Le Pen, e il partito ungherese al governo di Viktor Orban e il PiS polacco – e in cui sedeva la tedesca AfD, Alternative fur Deutschland, prima di essere sospesa per dichiarazioni filonaziste di un suo leader. Messi insieme, fanno 130 seggi (ma con alcuni di questi partiti, quelli di ID, la presidente della Commissione europea uscente Ursula von der Leyen ha dichiarato in campagna elettorale che non ci sarebbe accordo possibile di governo).
Restano ancora 100 seggi, in cui c’è un po’ di tutto: la metà di membri che non appartenevano a nessun altro gruppo (dentro ci sono anche gli italiani Cinque Stelle), la metà di nuovi eletti ancora non affiliati.
Con questi numeri, l’avanzata della destra estrema, che pure ha un enorme peso politico a livello locale nei vari Paesi, non è sufficiente a ribaltare il tavolo delle possibili maggioranze a Bruxelles e neppure da sola a fare da ago della bilancia. Il PP – la cui candidata ufficiale è proprio von der Leyen – resta il partito di maggioranza relativa e avrebbe due strade: la prima, tornare a governare con le sinistra con un’altra “maggioranza Ursula” (quello che i conservatori Popolari avrebbero però voluto evitare). La seconda, cercare di ottenere la fiducia e poi governare ora con l’appoggio degli uni, ora degli altri a seconda dei provvedimenti.
Due altre notazioni. L’affluenza ancora più bassa che di solito per le Europee – in Italia, i seggi chiusi alle 23 segnano solo il 40,86% – indica la sfiducia dell’elettorato non solo nell’Europa ma nel proprio potere di incidere sulla politica che poi viviamo sulla nostra pelle. La seconda: attenzione a prendere il voto europeo come un indizio netto di quello che potrebbe accadere nelle politiche locali. Proprio perché Bruxelles sembra tanto lontana, le Europee sono spesso il terreno su cui il voto di protesta si esercita con più abbandono.