La chiamano Molletta perché scatta e rimbalza elastica sul campo da tennis, una pallina che corre dietro alla pallina. In un mondo drasticamente diviso tra predestinati – l’Italia ne possiede uno grande grande – e semplici comprimari, vincitori di razza e perdenti seriali, Jasmine Paolini è una magnifica eccezione che conferma la regola. Questa ragazza di 28 anni, età in cui gli esperti ti etichettano come “una che ha già dato il meglio”, decide improvvisamente che è arrivato il suo momento e si prende la ribalta. E che ribalta: lo stadio del Roland Garros, il center court in terra rossa più famoso che ci sia. Davanti al pubblico parigino che ha imparato ad amarne il sorriso e la spontaneità, ha annichilito la teenager russa Mirra Andreeva, diciassettenne dal talento puro che ha giocato il secondo set tra le lacrime, annegata nella delusione e nella frustrazione per un match che credeva di vincere. Perso invece malamente, malgrado la coach Conchita Martinez le ordinasse dal box “No more mistakes”, basta con gli errori. Che sarebbe come dire a Greta Thunberg: fai i compiti o ti rimando a scuola, non esattamente un capolavoro di psicologia.
Non ha tremato invece la nostra azzurra, prendendosi la finale del torneo. La finale di uno Slam ed è detto tutto. Risultato impronosticabile a inizio anno, costruito nel tempo “mattoncino su mattoncino” – sono le sue parole. Sembra una favola e forse lo è. Se di Sinner ormai conosciamo vita e miracoli, della Paolini chi non segue il tennis sa poco o nulla. Dunque serve un riepilogo. Innanzitutto non appartiene alla generazione Z: è nata a Castelnuovo di Garfagnana il 6 gennaio del ’96, ha passato l’adolescenza tra Carrara e Forte dei Marmi per approdare a Bagni di Lucca dove il padre Ugo gestisce un bar. Tutta l’esistenza in un fazzoletto, tra la montagna e il mare. È lì che il babbo ha conosciuto Jacqueline, la madre di Jas: arrivata in Toscana dalla Polonia dopo le scuole, assieme alla cugina, per lavorare da cameriera. Incontro felice, che ha dato frutti migliori incrociando le razze. “Mia nonna è nata a Lodz, mio nonno è ghanese”, ricapitola lei, ennesimo esempio di un’Italia multietnica che funziona eccome, almeno nello sport. Le origini scorrono nel sangue e non si dimenticano: Paolini parla fluentemente il polacco e spera presto di visitare l’Africa, dove si cruccia di non essere mai stata.
La ragazzina Jasmine non sta mai ferma. Salta, scappa, si butta, vola di qua e di là: impossibile tenerla. In più è resistente alla fatica. L’intuizione è dello zio, che porta lei e il fratello più piccolo William al Tennis club Mirafiume, la affida a un maestro e il resto vien da sé. Un po’ alla volta però, passetto dopo passetto. Proprio perché non sembra proprio una predestinata: è alta appena un metro e sessantatré, poca roba a confronto con le gigantesse che usano la racchetta come una mazza da baseball. Adesso tutti le chiedono: come fai a batterle? Risposta disarmante: “La minore altezza non è un deficit così grande, ci sono pro e contro come in tutte le cose. Mi chiedo solo, a volte, come sarebbe il mio servizio se avessi dieci centimetri in più, ma non lo saprò mai”. Al contrario ha saputo benissimo costruire un gioco geometrico, tenace e intelligente, fatto di qualità e tattica, elaborato a partire dal 2016 al centro federale di Tirrenia con un professore di tennis e di vita: Renzo Furlan, un passato tra i primi venti del ranking, che da allenatore ha accompagnato Francesca Schiavone, quattordici anni fa, nel suo trionfo al Roland Garros. Corsi e ricorsi. La similitudine scatta inevitabile, pensando alla finalissima di sabato: “Sono due giocatrici diverse tecnicamente. Jas è più potente, Francesca costruiva e inventava. Ma hanno in comune la stessa forza interiore che fa di loro due guerriere”.
Quella della Paolini è stata una esplosione controllata, tipica di quelli che partono tardi – ancora sei anni fa era fuori dalle prime duecento del mondo – ma quando arrivano tirano forte. In carriera ha vinto finora solo due tornei nel circuito maggiore: il primo nel 2021 a Portorose, il secondo a febbraio scorso a Dubai, categoria mille, un assaggio del paradiso. È stato il successo della svolta, della consapevolezza, della coscienza dei propri valori.
A prescindere della settima posizione raggiunta oggi in classifica, al di là di quel che succederà fra due giorni contro l’imbattibile regina polacca Iga Swiatek, il progetto resta lo stesso: migliorare lavorando di lima, “lottare da pari a pari con tutte le avversarie per il piacere di stupirsi”. Il tricolore del fattore J – Jannik & Jasmine – sventola sulla Francia, l’orizzonte è spalancato e obbliga a un super lavoro. Domani Paolini sarà in campo di nuovo nella semifinale del doppio, con l’obiettivo puntato anche sulle Olimpiadi, a fianco dell’indistruttibile Sara Errani. Ovvero la compagna che rappresenta una miniera di informazioni, capace di spiegarle in anticipo come ci si sente a giocare una finale a Parigi: lei l’ha vissuta nel 2012, sconfitta a testa altissima dalla siberiana Sharapova. Molletta andrà alla guerra con un sogno in testa e la racchetta in mano: piccole donne crescono, anzi sono già cresciute. E quanto, accidenti.