L’europeismo del Quirinale – salito bruscamente agli onori della cronaca il 2 giugno festa della Repubblica dopo che il leghista Claudio Borghi ha invitato il presidente Mattarella a dimettersi perché ha lodato la sovranità europea – ha radici antiche.
Alcide De Gasperi, con una visione politica e un’ottimistica speranza per il futuro dell’Europa, nel 1952 dichiarava alla radio “Oggi non vi parlo dell’Italia, ma dell’Europa di domani”.
La Conferenza di Messina del giugno 1955, e i Trattati di Roma del 1957, che istituirono la CEE e dell’Euratom, videro l’Italia in prima linea per la costruzione europea.
Nell’ambito internazionale della guerra fredda, il Presidente Einaudi – fondatore nell’ottobre del 1947 del Movimento federalista — sostenne l’europeismo della politica estera italiana, partecipando attivamente alla vita dei movimenti federalisti.

Il Presidente Gronchi, in apertura del Congresso del Movimento Europeo, tenutosi a Roma il 10 giugno 1957, sottolineò l’importanza dell’integrazione economica e ribadì che l’Europa doveva raggiungere l’unità politica per emergere nel contesto mondiale, evidenziando che le vere solidarietà non si basano su divisioni e conflitti, ma su una visione comune di fronte alle sfide globali.
Il Presidente Segni emerse come un sostenitore convinto di un’Europa unita e fautore di un’Unione europea intesa come rinascita spirituale del vecchio continente.
Segni enfatizzò con determinazione e chiarezza i temi europeisti sia al momento dell’insediamento, avvenuto l’11 maggio 1962, che nel discorso di ringraziamento per il conferimento del Premio Carlo Magno ad Aquisgrana il 7 maggio 1964, definendo l’Unione europea come un obiettivo per quale l’Italia lavorò e avrebbe continuato a lavorare. Il Presidente affermò che l’Europa dovrebbe essere una forza materiale e morale, garante della sicurezza interna ed aperta al mondo esterno e un efficace strumento di pacificazione.
I Presidenti della Repubblica hanno avuto l’opportunità, nel corso del tempo, di riflettere e intervenire sulla importanza fondamentale dei vari passaggi della storia del processo di integrazione europea, nei suoi aspetti politici, giuridico-istituzionali ed economico-sociali.
Nel corso di viaggi e visite di Stato, partecipando a vertici europei e a cerimonie di firma di trattati e accordi di cooperazione, i Presidenti hanno ripercorso nei loro interventi le tappe di un processo incentrato su alcuni nodi cruciali dell’evoluzione dell’azione comunitaria nei settori del lavoro, dell’istruzione, dell’inclusione sociale, della cittadinanza europea e sulle le sfide attuali e future che si pongono all’Unione europea.
Fino ai Presidenti Ciampi , Napolitano e Mattarella, che hanno espresso in modo deciso il loro sostegno all’ancoraggio dell’Italia all’Unione Europea.

Ciampi e Napolitano, nati tra le due guerre mondiali, hanno vissuto le immense tragedie di quel periodo. Come dichiarato apertamente da entrambi, il progetto di unificazione europea era per loro un imperativo morale, per garantire che gli europei non si facessero mai più la guerra l’uno contro l’altro. Inoltre, sia Ciampi che Napolitano avevano svolto importanti ruoli nel promuovere l’avanzamento del progetto d’integrazione.
Nel caso di Ciampi, in qualità prima di Governatore della Banca d’Italia e poi di Presidente del Consiglio, è stato uno degli artefici dell’euro ed ha guidato l’adesione dell’Italia alla moneta comune.
Napolitano, d’altro parte, aveva ricoperto dal 1999 al 2004 la carica di Presidente della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, svolgendo un ruolo chiave nella promozione delle due Convenzioni che avevano redatto la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e poi la Costituzione europea. In un certo senso, quindi, per questi Presidenti il successo dell’UE, e l’ impegno dell’Italia a favore della causa europea, erano una missione di vita.
Tuttavia, al di là dei motivi personali, la convinzione presidenziale che l’Italia dovesse essere coinvolta nell’UE e promuovere il progetto d’integrazione trova le sue ragioni più profonde in una visione culturale più ampia che considera la creazione della Repubblica italiana e l’istituzione dell’UE come due processi costituzionali complementari.
Questo concetto emerge chiaramente dall’azione del Presidente Mattarella, che mostra una significativa continuità con quella dei predecessori. Fin dal primo discorso davanti al Parlamento Mattarella ha affermato che “Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro”.
Il Presidente, nel corso del tempo, non si è limitato a evidenziare le lacune dell’Unione, ma ha anche indicato la direzione da seguire e quando necessario ha richiamato le istituzioni nazionali al rispetto dei vincoli europei, contribuendo a consolidare la percezione di un orientamento “europeista” immune dalle variazioni determinate dalle mutevoli maggioranze di Governo.
Mattarella ha delineato un “programma europeista” attraverso i suoi interventi, richiamando l’importanza di chiave come il rafforzamento della rappresentanza democratica nelle istituzioni europee e la politica migratoria. Ha sottolineato la necessità di regolare i flussi migratori in modo rispettoso delle comunità di accoglienza e dei migranti, condannando il traffico organizzato da criminali senza scrupoli. Inoltre, ha insistito sulla politica estera e di difesa comune, sostenendo che l’Unione debba potenziare tali ambiti per affrontare le sfide attuali. Ha evidenziato l’importanza di regole comuni su questioni cruciali come il cambiamento climatico, la tutela dell’ambiente, la lotta al terrorismo, la rivoluzione digitale e la cybersecurity.
In conclusione, i Presidenti della Repubblica hanno svolto un ruolo determinante nel promuovere un’identità europea, derivata dal patrimonio costituzionale comune, e nell’assicurare la piena appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.