Il Messico vota per eleggere il presidente, e avrà una donna alla guida del paese prima degli Stati Uniti. La storica giornata del 2 giugno vede anche il voto per 20.000 cariche elettive, inclusi 128 seggi del Santo, 500 seggi alla Camera; il sindaco di Città del Messico e i governatori degli Stati di Chiapas, Guanajuato, Jalisco, Morelos, Puebla, Tabasco, Veracruz e Yucatán.
A sfidarsi per la presidenza – in una campagna elettorale insanguinata e violentissima che ha visto tentativi di assassinio di decine di candidati – ci sono secondo i sondaggi Claudia Sheinbaum e Xóchitl Gálvez, con il 38enne Jorge Álvarez Máynez terzo in lizza.
Claudia Sheinbaum, 61 anni, scienziata climatologa, già sindaca di Città del Messico, è favorita dai sondaggi ed è alleata di lungo corso del presidente uscente Andrés Manuel López Obrador, per cui ha servito come assessora all’ambiente della capitale quando Lopéz Obrador era sindaco dal 200 al 2006. Se vincerà sarà non solo la prima donna, ma il primo capo di Stato messicano con ascendenze ebraiche. È una politica laica di sinistra e l’alleanza con López Obrador è stata da un lato un asset, dall’altro un problema perché le ha richiesto di differenziarsi dal presidente uscente, di cui però ha usato vari slogan in campagna elettorale.
Da parte sua, Obrador ha promesso di “ritirarsi completamente” dalla vita pubblica e quindi di non influenzare le decisioni di Sheinbaum se sarà eletta. A margine vale la pena notare che solo quando una donna si candida qualcuno si chiede se non sarà influenzata da un uomo potente.
La piattaforma elettorale di Sheinbaum prevede borse di studio per oltre 12 milioni di studenti, fertilizzanti gratuiti per i piccoli coltivatori, il consolidamento della Guardia nazionale e dell’intelligence per aumentare la sicurezza, la riforma del sistema giudiziario.

Seconda nei sondaggi ma sostenuta da una coalizione di opposizione che include i partiti PRI, PAN e PRD, Xóchitl Gálvez è figlia di un padre indigeno e di una madre meticcia; era una imprenditrice prima di entrare in politica, ed è stata responsabile degli affari per i nativi per l’ex presidente conservatore Vicente Fox.
La sua piattaforma elettorale include continuare il programma di Fox per le pensioni a tutti gli anziani; un “sistema di protezione sociale universale” per le classi medie e basse; il rafforzamento della polizia locale e federale. Ha anche lasciato intendere che il Messico, paese ricco di petrolio, dovrebbe investire di più nelle energie rinnovabili.
Jorge Álvarez Máynez è balzato all’attenzione dei media in maggio quando il crollo di un palco a un suo comizio nella città di San Pedro Garza García ha ucciso nove persone e ne ha ferite almeno 121. Nel suo programma c’è la depenalizzazione del possesso di droga per smettere di stigmatizzare la povertà; il passaggio dal proibizionismo alla regolamentazione delle droghe; porre fine alla militarizzazione del Messico concentrandosi sull’addestramento della polizia; una riforma economica graduale che includa un sistema pensionistico universale, diritti del lavoro garantiti e una riforma progressiva dell’imposizione fiscale; lo spostamento verso le energie pulite e rinnovabili.
Al centro dell’attenzione di tutti però ci sono la sicurezza e la migrazione, tema cruciale anche per i rapporti con il grande vicino statunitense. Alcuni candidati hanno rinunciato per paura di perdere la vita, ma la violenza elettorale è solo una parte di una ampia crisi di sicurezza. Nei primi quattro anni e mezzo del mandato di López Obrador sono stati registrati quasi 161mila omicidi; le cifre sono in costante aumento dal 2007, primo anno del governo dell’ex presidente Calderón.
L’altro tema, la migrazione, ha visto un aumento del 77% degli arrivi rispetto al 2022. Persone che arrivano in larga parte da Stati in crisi come il Venezuela, moltissimi in transito verso quello che sperano sia un futuro di opportunità negli Stati Uniti. La situazione è incandescente al confine con il Texas, dove il governatore Greg Abbott in dicembre aveva firmato una legge che permetterebbe l’arresto e la deportazione dei migranti illegali; legge però per ora bloccata da una tribunale federale.
Il governo di López Obrador da parte sua ha dichiarato che rifiuterebbe di accogliere persone deportate dalle autorità texane, e che in materia di migrazione discute solo con l’amministrazione federale a Washington; una posizione sposata anche da Sheinbaum e Gálvez.