La scena ha divertito l’Italia ma è anche simbolica del clima della campagna elettorale per le elezioni europee, che sta travolgendo la politica di tutti i paesi membri. Giorgia Meloni è andata lunedì 28 maggio a Caivano, periferia di Napoli, a inaugurare un centro sportivo che vuole essere un ‘modello’, la redenzione di un quartiere difficile dove due bambine l’anno scorso sono state stuprate a lungo da un branco di coetanei. “Uno spottone elettorale’ secondo l’opposizione di sinistra, ma la premier ne ha fatto qualcosa di più: ad accoglierla c’era anche il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca del PD, uomo dalla lingua velenosa che mesi fa l’aveva definita senza mezzi termini “stronza”. Filando diretta verso De Luca, Meloni vestita di bianco gli ha detto “Giorgia Meloni, sono ‘quella stronza’, come sta?”, a portata di telecamere.
De Luca è rimasto impassibile ma in serata ha dichiarato che la premier ha “rivelato la sua vera identità”. Certamente ha sottolineato la sua verve polemica; Meloni in queste settimane è ovunque, aiutata dalle televisioni e dal ruolo, e si mostra forte, aggressiva, sempre capace di conquistare simpatia, e allo stesso tempo vittima degli ingiusti attacchi degli avversari.
Un esempio: martedì 29 maggio annuncia l’approvazione del governo del progetto di riforma della giustizia – che contiene misure e un nuovo organo per disciplinare i magistrati, che la contestano accanitamente. Per Meloni, è “una riforma giusta, necessaria, storica e si aggiunge alle altre riforme che questo governo ha già varato, come la riforma del fisco e la riforma istituzionale. Continueremo così, perché in questa Nazione le cose che non funzionano bene vanno cambiate. E più cercheremo di cambiarle più le forze della conservazione si muoveranno contro di noi. Ma non abbiamo paura, siamo qui per fare quello che va fatto”.
Per lei la posta delle europee è altissima, sul fronte interno e su quello internazionale.
Come si vota e cosa c’è in gioco:
Si vota nei 27 paesi dell’Unione per eleggere i 705 deputati dell’Europarlamento, a rappresentare una popolazione di circa 450 milioni di persone. Le elezioni – e questa la dice lunga sulla coesione politica europea – si svolgono con modalità diverse e in date diverse a seconda dei paesi dal 6 al 9 giugno (in Italia domenica 9), ma lo spoglio si svolgerà per tutti dal 10 giugno. Dalla maggioranza che uscirà dalle urne dipenderà la formazione della Commissione europea, cioè il ‘governo dell’Unione’, con il suo Presidente (oggi è la tedesca dei Popolari Ursula von der Leyen) e la creazione dei nuovi gruppi parlamentari.

Che poteri ha il Parlamento Europeo?
Il processo decisionale europeo è complicatissimo, ma in sintesi, i deputati, in congiunzione con il Consiglio europeo, ovvero i ministri nazionali che si riuniscono periodicamente (dell’Economia, degli Esteri…) o i capi nazionali di Stato e di Governo, elaborano e votano le leggi che governano l’Unione e che soprattutto in materia sanitaria, finanziaria, commerciale e agricola impattano su ogni dettaglio della vita degli europei: la disponibilità dei vaccini, la certificazione dei farmaci, le quote di produzione agricola nei vari paesi, il riparto del bilancio dell’Unione (ovvero quanti soldi vanno a quali paesi e per cosa; i Fondi di coesione sono fatti apposta per aiutare lo sviluppo delle zone più deboli), la sicurezza dei giocattoli, le garanzie sulla certificazione di cibi e bevande, le tariffe aeree e telefoniche…
Gli europei lo sanno e si interessano?
No. Nonostante l’impatto che le decisioni prese a Strasburgo e Bruxelles (le due sedi dell’Eurocamera) hanno sulla loro vita quotidiana, i cittadini europei spesso hanno un’idea vaga di cosa faccia esattamente l’Unione, e l’interesse per le elezioni di conseguenza è basso – e spesso non sostenuto dai politici nazionali. Alle ultime elezioni, nel 2019, votò la metà degli aventi diritto (per l’esattezza il 50,66%, pari a 198 milioni di persone).
Quanti gruppi parlamentari ci sono (e perché sono importanti…)?
Al momento i gruppi sono sette. I due maggiori sono il Partito Popolare Europeo, conservatore, e il Partito Socialista Europeo, che probabilmente resteranno il primo e il secondo per numeri di voti. Seguono Renew Europe, una formazione centrista europeista in cui siede anche il partito del presidente francese Emmanuel Macron; il gruppo dei Verdi/Alleanza libera, puntato sui temi ecologici e sulla difesa delle minoranze; due gruppi di destra, ovvero ECR (Conservatori e riformisti europei) e Identità e Democrazia; e infine The Left, il Partito della Sinistra Europea che raccoglie per esempio deputati appartenenti alla tedesca Die Linke, allo Sinn Fein irlandese, a Podemos e Izquierda Unida dalla Spagna, o ancora alla France Insoumise del francese Jean-Luc Mélenchon. In base ai risultati elettorali è probabile che i gruppi parlamentari più piccoli cambino.
Un governo per tre partiti e tre gruppi parlamentari europei
Al governo in Italia c’è una coalizione di tre partiti, e ognuno appartiene a un gruppo europeo diverso e fa campagna separatamente, creando anche qualche logico attrito. Forza Italia, il partito che fu di Berlusconi (e ha lasciato la sua faccia nel simbolo), oggi guidato da Antonio Tajani, siede nel grande gruppo dei Popolari. La Lega Nord guidata da Matteo Salvini siede in Identità e Democrazia, assieme alla francese Marine Le Pen e al premier ungherese Viktor Orbàn. Fratelli d’Italia, il partito della premier Giorgia Meloni, siede in ECR, assieme alla formazione francese Vox. (A sinistra, il PD di Elly Schlein siede nel Partito Socialista Europeo).
Sia ECR che identità e Democrazia raccolgono partiti di estrema destra, e sulla carta le differenze sono apparentemente poche. Però Meloni ha adottato da quando è al governo un atteggiamento europeista abbandonando le posizioni oltranziste e moderando anche il linguaggio un tempo xenofobo (l’epoca di quando suggeriva che si potesse sparare sulle barche dei migranti…).

Salvate il soldato Salvini
Il suo alleato Matteo Salvini, invece, si è spostato sempre più a destra nel tentativo disperato di raccogliere i voti estremi ricorrendo a una serie di dichiarazioni e misure populiste (da ministro delle Infrastrutture, sua è l’idea di risuscitare il contestato progetto del ponte sullo Stretto di Messina per raggiungere la Sicilia via terra). L’elettorato della sua Lega ormai però è fagocitato da Fratelli d’Italia, che secondo gli ultimi sondaggi (sono vietati dal 25 maggio) raccoglierebbe circa il 27% contro l’8% dei leghisti e il 9,5 di Forza Italia.

ANSA/ PAOLO PEDROTTI
La contesa fra “Giorgia” e “Elly”
Per Meloni, in Italia la posta in gioco è dimostrare di essere la numero uno e il confronto, il primo diretto alle urne, è con la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. Entrambe si sono candidate (sebbene nessuna delle due intenda andare a Bruxelles), come una forma – discutibile -di richiamo per gli elettori. Meloni ha messo ovunque sui cartelloni il suo viso con il solo nome, Giorgia. Schlein è candidata invece solo nelle isole e nella circoscrizione Italia centrale, dove è la sua Bologna.
Il PD però è accreditato di circa il 21%. Secondo gli ultimi sondaggi è in recupero ma appare impossibile che si avvicini più di tanto a Fratelli d’Italia. Per Meloni, arrivare al 30% sarebbe un successo, tutto il resto è un di più.

Meloni e Von der Leyen, la strana coppia
Il Partito Popolare, che ha la maggioranza a Bruxelles, nella legislatura uscente ha accettato la cosiddetta “maggioranza Ursula” cioè si è alleato con il Pse. Questo lo ha obbligato ad accettare alcuni compromessi sgraditi, come l’enfasi sulla decarbonizzazione, e sull’aumento del mercato delle auto elettriche – che se le cose non cambieranno, dal 2035 saranno le uniche vendibili in Europa. Fumo negli occhi per la destra italiana e non solo. Così come la direttiva sulle case sostenibili che in un paese come l’Italia obbligherebbe milioni di persone a costosissimi interventi su palazzi venerandi (e contro cui Salvini sempre da ministro delle Infrastrutture inveisce).
In questa legislatura il PPE intende avere mano libera e se i risultati lo aiuteranno, vuole giocare da solo, magari con l’appoggio esterno di socialisti e partiti di destra a seconda dei provvedimenti.
In questo quadro, la candidata di punta ufficiale del PPE è proprio Von Der Leyen, che però è sgradita a parecchi partiti conservatori europei. La tedesca ha cercato di rafforzarsi anche coniando una alleanza inedita con Meloni. Negli ultimi mesi per esempio le due sono andate insieme a firmare un accordo in Tunisia per il blocco dei migranti (in cambio di finanziamenti), e sono andate a Lampedusa a parlare di migrazione.
Von der Leyen però ha posto dei paletti a destra: non si alleerà mai, ha detto, con partiti che non siano europeisti o che non rispettino le norme democratiche. Questo esclude automaticamente i partiti di Identità e Democrazia: la formazione di Marine Le Pen (che adesso si chiama Rassemblement National), il partito del premier ungherese Viktor Orban (che pure è in ottimi rapporti con Meloni), la Lega di Salvini, il PIS polacco, e l’AFD tedesca che del resto è stata allontanata negli ultimi giorni anche dagli alleati perché troppo smaccatamente neonazista.
Sulle credenziali democratiche ed europeiste dell’altro francese di destra Eric Zemmour, e della spagnola Vox, alleata di Meloni che è andata a diverse volte ai suoi comizi a Madrid, c’è da farsi peraltro delle grosse domande.
Cosa spera Meloni?
L’ambizione dichiarata numero uno sarebbe che tutti questi partiti di destra raccogliessero sufficienti voti da formare una maggioranza. Meloni sarebbe allora egemone sul piano europeo, punta di diamante della destra.
Sondaggi alla mano, pare un sogno irrealizzabile. La premier italiana potrebbe allora appoggiare una Commissione gestita dai Popolari (partito in cui, ricordiamo, siede Forza Italia di Tajani). Matteo Salvini ha ribadito molte volte che per lui è impossibile – ma questo non impedisce ai due di restare alleati a Roma.
Il governo europeo, ovvero la Commissione, è formato da ministri, i Commissari, che sono proposti dai governi nazionali, uno per ogni paese. Per l’Italia il commissario uscente (alle Finanze) è Paolo Gentiloni del PD.
Se si formasse una maggioranza di destra, Meloni sarebbe in grado di comandare anche il nome del futuro presidente della Commissione. Altrimenti dovrò limitarsi a scegliere un commissario.
L’ombra invocata di Mario Draghi
L’ex premier italiano, ex presidente della BCE, ex governatore di Bankitalia è considerato uno dei nomi più influenti in Europa. Von der Leyen gli ha dato l’incarico di stilare una relazione sul futuro della competitività dell’Ue. In attesa di concluderlo, Draghi in aprile ha già annunciato che proporrà un “cambiamento radicale”.
C’è posto per lui a Bruxelles? Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che lo vorrebbe a capo della Commissione, scenario che adesso appare assai improbabile, come pure l’idea che Meloni con mossa illuminata lo proponga come commissario italiano; un posto, del resto, forse non abbastanza prestigioso per l’uomo che ha avuto in mano per due mandati le sorti dell’euro, “whatever it takes”.