Tra i vari trend social riguardanti la violenza di genere è diventato virale, anche in Italia, qualche giorno fa un video TikTok diffuso dall’account londinese Screenshot LTD, nel quale vengono intervistate otto donne che rispondono alla singolare domanda “Preferiresti rimanere da sola in un bosco con un uomo o con un orso?” La risposta al dilemma “man vs bear” appare quasi scontata: tutte preferirebbero incontrare un orso. Nonostante l’animale, nell’immaginario collettivo, sia noto per la sua potenziale aggressività e imprevedibilità e rappresenti, da un punto di vista ancestrale, le paure e le angosce inconsce, sia collettive che individuali, l’animale-uomo viene ritenuto ancor più pericoloso.

La sicurezza nelle città per le donne è un tema caldo che non viene affrontato a dovere nelle sedi istituzionali, le donne hanno ancora timore di camminare da sole per le strade delle grandi città occidentali, nonostante l’apparente libertà e indipendenza di cui godono. Un altro trend virale, noto con l’hashtag #grissinbon, mostra idelle donne che simulano un balletto grottesco per apparire sgradevoli e dissuadere così potenziali aggressori. Abbiamo chiesto a Rosalba Morese, ricercatrice e docente in Psicologia e Neuroscienze Sociali presso l’Università della Svizzera italiana, di spiegarci i meccanismi psicologici di questa paura.
A cosa attribuisce la risposta al sondaggio di Tik Tok #manvsbear?
La prima considerazione da fare è che è necessario contestualizzare: il breve video è basato su 8 risposte, quindi non sui risultati di una ricerca scientifica. D’altra parte, non è trascurabile che il video sia diventato virale. Può indicare che questo tema fa risuonare nelle donne una paura ancestrale soprattutto in questo periodo storico.
Qual è esattamente questa paura?
Ricordiamo che quando l’essere umano percepisce una situazione di minaccia o pericolo risponde in modo automatico con una reazione neurofisiologica di attacco e/o fuga legata alla sopravvivenza della specie. Nello specifico del dilemma “man vs bear”, i due scenari presentati alle donne intervistate evocano entrambi questa paura ancestrale; già questo può essere un primo motivo di riflessione poiché ci rimanda a come anche solo e semplicemente la presenza di un uomo per una donna possa essere considerata non di supporto ma di minaccia e paura.
Il bosco è uno scenario simulato. Immaginiamone uno reale. Pensa che per una donna che si trovi da sola nel vagone di un treno la presenza di un uomo possa essere allarmante piuttosto che rassicurante?
Certamente questo tipo di paura si può basare su esperienze dirette o indirette. Spesso i media riportano situazioni di pericolo per donne e nella nostra mente questo tipo di tematica ha una connotazione importante e molto attuale. In ogni caso, quando ci si trova dinnanzi a un orso, la mente valuta i potenziali rischi e le loro conseguenze. Nel caso dell’orso il rischio può essere quello di essere attaccate e uccise, invece quando ci si trova da sole con un uomo, per esempio nel vagone di un treno o di notte in una strada deserta, per la donna questo può non solo rappresentare un pericolo potenziale di aggressione fisica, ma avere ulteriori implicazioni che riguardano i vari livelli di complessità della violenza di genere, con risvolti anche psicologici e socio-culturali.
Cosa intende dire?
Che oltre alle conseguenze dirette di un’eventuale aggressione fisica, la donna potrebbe dover affrontare la gogna sociale e mediatica derivante da un’ulteriore vittimizzazione riguardo a ciò che le è accaduto. Si ritroverebbe quindi ad essere vittima due volte: oltre alla violenza, potrebbe trovarsi ad affrontare emozioni come la vergogna, l’esclusione sociale, la colpevolizzazione e un possibile impatto penalizzante anche in ambito lavorativo.
In altre parole, nel caso dell’orso verrebbe immediatamente riconosciuta come vittima, mentre con un uomo potrebbe essere colpevolizzata?
Purtroppo, gli aspetti socio-culturali hanno un impatto importante sui processi di vittimizzazione. Questo significa che, in una cultura dominata da forti stereotipi di genere e radicati pregiudizi nei confronti delle donne, si crea in questi casi un contesto sociale che risulta ancora più minaccioso di quello che può rappresentare un orso in un bosco.
Che ruolo gioca in questo schema sociale il corpo della donna?
Dal punto di vista delle neuroscienze sociali, ci sono degli studi recenti che mettono in evidenza cosa accade nel cervello umano quando il corpo di una donna viene percepito come un oggetto. Ciò che emerge è che tanto più l’immagine della donna è associata al corpo, tanto più mente e cervello mettono in atto un processo di de-umanizzazione per cui quella rappresentazione non sarà una rappresentazione umana, ma un’immagine oggettuale utile a soddisfare i propri desideri sessuali.
Crede che alla base di questa dinamica ci sia anche un pregiudizio riguardo all’aspetto fisico, per cui una donna attraente o vestita in modo succinto può costituire un’istigazione allo stupro?
Questo rappresenta proprio l’esempio tipico di un pregiudizio che può emergere in un contesto socio-culturale in cui la donna verrà verosimilmente colpevolizzata ulteriormente e sospettata di induzione alla violenza.
Come se ne esce?
Ad un primo livello, mettendo in atto processi di formazione nei vari gradi e livelli di istruzione scolastica. Sul piano invece della sensibilizzazione sociale, creando reti di protezione per le donne attraverso strumenti concreti di aiuto e supporto sin dai primi momenti di allerta. Non solo. Al di là degli strumenti istituzionali e formali, è necessario creare una cultura sociale di solidarietà che empatizzi con le donne: una rete che non comprenda solo le donne stesse ma anche gli uomini. Solo con il contributo dell’universo maschile è possibile trasformare una cultura di minoranza in una di maggioranza che possa destrutturare il gender bias.
Attualmente i tempi non sono maturi perché le donne vadano in giro da sole di notte senza inquietudini. È proprio necessario che si rendano sgradevoli con movenze scimmiesche come suggerisce il trend #grissinbon altrettanto virale? Possibile che non abbiamo altra scelta?
Purtroppo non si sceglie di essere vittime. Bisogna stare attenti a non cadere nel tranello che la femminilità sia una legittimazione alla violenza di genere.