L’esercito israeliano avrebbe iniziato ad evacuare i primi civili palestinesi in vista di un assalto di terra a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. A dichiararlo è stato mercoledì un alto funzionario della difesa dello Stato ebraico, che non ha tuttavia fornito alcuna data approssimativa per l’inizio delle operazioni.
Secondo Reuters, il Ministero della Difesa di Tel Aviv avrebbe già acquistato circa 40.000 tende, ognuna delle quali può contenere da dieci a dodici persone, per ospitare i centinaia di migliaia di palestinesi che verranno rimossi dalla città al confine con l’Egitto – ultima roccaforte di Hamas nella Striscia.
Il gabinetto di guerra presieduto da Benjamin Netanyahu si riunirà nelle prossime due settimane per autorizzare le evacuazioni dei civili, la cui durata complessiva è stimata in almeno un mese.
“Hamas è stato colpito duramente nel settore settentrionale. È stato colpito duramente anche nel centro della Striscia. E presto sarà colpito duramente anche a Rafah”, ha dichiarato alla TV pubblica Kan il generale di brigata Itzik Cohen, comandante della 162esima divisione israeliana che opera a Gaza.
Diverse immagini satellitari sembrano mostrare la costruzione già in corso di una nuova tendopoli vicino a Khan Younis, nel sud della Striscia. Secondo i funzionari sanitari palestinesi, tuttavia, il campo servirà per ospitare gli sfollati di Gaza precedentemente rifugiatisi in ospedale, piuttosto che per accogliere gli evacuati di Rafah.
Nella notte, intanto, diversi raid aerei israeliani su Rafah avrebbero ucciso almeno cinque persone, secondo quanto riferito dalle autorità ospedaliere locali. Tra le vittime anche due bambini: Sham Najjar, 6 anni, e Jamal Nabahan, 8 anni. Nella porzione centrale della Striscia, altre quattro persone sarebbero state invece uccise dai carri armati dello Stato ebraico mentre le vittime stavano cercando di spostarsi verso il nord.
Da Istanbul, uno dei leader militari di Hamas ha dichiarato all’Associated Press che la milizia islamista sarebbe pronta a deporre le armi nel caso in cui Israele accettasse una soluzione politica basata sui due Stati.
Secondo Khalil al-Hayya, i mujaheddin palestinesi accetterebbero una tregua di cinque o più anni con lo Stato ebraico e di deporre le armi, tramutandosi in un partito politico, ma solo nel caso in cui venisse dato il via libera a uno Stato palestinese indipendente lungo i confini precedenti alla Guerra dei sei giorni del 1967.
Hamas accetterebbe “uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei rifugiati palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali”, lungo i confini di Israele pre-1967, ha dichiarato al-Hayya. I desiderata sono simili a quelli dell’Autorità palestinese, che è stata cacciata dalla Striscia proprio da Hamas e che non ha formalmente commentato le dichiarazioni del militante antagonista.
In cima alle priorità dell’attuale governo israeliano rimane tuttavia lo sradicamento totale di Hamas dopo gli attentati omicidi del 7 ottobre, e finora l’esecutivo di ‘Bibi’ ha sempre dimostrato ferma contrarietà alla creazione di uno Stato palestinese sui territori conquistati militarmente da Israele nel 1967.
Al-Hayya ha inoltre lasciato intendere che Hamas potrebbe attaccare le forze israeliane o statunitensi posizionate vicino a un molo galleggiante che Washington sta costruendo lungo la costa di Gaza per agevolare l’arrivo di aiuti umanitari ai civili via mare.
“Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che sulla terraferma, e affronteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o di altro tipo… come una potenza occupante”, ha dichiarato.
Nei quasi sette mesi di guerra a Gaza, il bollettino dei morti ha ormai superato quota 34.000 vittime palestinesi (dati del ministero della Sanità di Hamas) e 1.200 israeliani, per lo più civili. Attualmente risulta inoltre sfollato circa l’80% dei 2,3 milioni di abitanti che prima della guerra risiedevano a Gaza – e che in gran parte si sono reinsediati proprio a Rafah.