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April 3, 2024
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José Andrés sul NYT: “Israele ricordi che nutrire lo straniero è un segno di forza”

Dopo la strage a Gaza, il fondatore di World Central Kitchen piange i sette operatori uccisi

Adriana CarnellibyAdriana Carnelli
Time: 3 mins read

“C’è un motivo per cui in questo momento dell’anno i cristiani fanno le uova di Pasqua, i musulmani mangiano un uovo alla cena di Iftar, e un uovo sta sul piatto del Sedar. È un simbolo di vita e speranza rinata che attraversa le religioni e le culture”. José Andrés è lo chef spagnolo che ha fondato e che anima World Central Kitchen, l’ong che distribuisce cibo nelle regioni di crisi.

All’indomani della strage del missile israeliano che ha centrato un convoglio di WCK a Gaza uccidendo sei volontari stranieri e il loro autista palestinese, Andrés scrive un commento sul New York Times per insistere: la missione della sua ong è cruciale alla pace e alla convivenza. “Sono stato lo straniero alle cene del Sedar. Ho ascoltato le antiche storie di Passover sugli stranieri in terra d’Egitto, e il comandamento di ricordare, con un banchetto davanti, che una volta i figli di Israele erano schiavi. Non è un segno di debolezza nutrire gli stranieri; è un segno di forza. Il popolo di Israele deve ricordare, in questo momento buio, cosa è la vera forza”.

Andrés ricorda così anche il blocco israeliano agli aiuti umanitari nella Striscia e la carestia che tormenta i palestinesi intrappolati nel territorio dove infuria la guerra fra lo Stato ebraico e gli estremisti di Hamas. Dei suoi cooperanti uccisi, i cui corpi sono stati oggi portati fuori da Gaza attraverso il valico di Rafah, dice “Le sette persone uccise in una missione a Gaza lunedì erano il meglio dell’umanità. Non sono senza nome o senza volto”, come i tanti morti a Gaza, oltre 33.000 le cui storie non conosciamo. “Non sono ‘volontari’ generici o un danno collaterale in una guerra”, e qui si sente l’eco dello sdegno per le parole del premier israeliano Benjiamin Netanyahu che in un messaggio video scusandosi per l'”incidente” ha aggiunto: “sono cose che succedono in guerra”.

“Saifeddin Issam Ayad Abutaha, John Chapman, Jacob Flickinger, Zomi Frankcom, James Henderson, James Kirby e Damian Sobol hanno rischiato tutto per la più fondamentale delle attività umane: condividere il cibo con gli altri. Sono persone con cui ho lavorato in Ucraina, Turchia, Marocco, le Bahamas, l’Indonesia, il Messico, Gaza e Israele. Sono molto più che degli eroi”.

“Dal primo giorno” aggiunge Andrés “abbiamo nutrito gli israeliani come i palestinesi. Lungo tutto Israele abbiamo servito più di 1,75 milioni di pasti caldi. Abbiamo nutrito famiglie sfollate dai razzi di Hezbollah nel nord. Abbiamo nutrito famiglie in lutto dal sud. Abbiamo consegnato pasti negli ospedali dove gli ostaggi si riunivano alle loro famiglie”. E in tutta l’attività svolta, “abbiamo comunicato ampiamente con l’esercito israeliano e i funzionari civili, mentre allo stesso tempo lavoravamo con i leader a Gaza e altri paesi arabi della regione. Così abbiamo servito oltre 43 milioni di pasti a Gaza, preparando cibo caldo in 68 cucine collettive”.

“Conosciamo gli israeliani. Nel loro cuore più intimo sanno che il cibo non è un’arma di guerra. Israele può fare meglio del modo in cui questa guerra viene condotta. Può fare meglio che bloccare cibo e farmaci per i civili. Può fare meglio che uccidere volontari che avevano coordinato i loro spostamenti con l’esercito”.

Dopo la strage, World Center Kitchen ha sospeso le operazioni nella Striscia. Il capo di Stato Maggiore israeliano, Herzi Halevi, ha anche lui inviato oggi un videomessaggio molto più contrito di quello di Netanyahu, parlando di un “grave errore” che “non sarebbe dovuto accadere”, e riferendosi alla scarsa visibilità notturna, in “condizioni molto complesse”. Ma quali operatori umanitari lavoreranno a Gaza, se anche coordinarsi con l’esercito non basta? Quanto ai lavoratori delle agenzie Onu, il palazzo di Vetro ha rilevato ieri che ne sono morti più di 200 a Gaza dal 7 ottobre, in larghissima parte palestinesi.

“I membri di quella squadra” ha scritto ancora Andrés, “hanno messo a rischio le loro vite proprio perché il cibo è così poco e così disperatamente necessario. Metà della popolazione di Gaza, 1,1 milioni di persone, rischia di morire di fame. Non avrebbero fatto quel viaggio se ci fosse abbastanza cibo per nutrire le persone a Gaza, arrivato via terra”. Oggi Israele ha consentito l’accesso tramite il valico di Rafah di diversi camion di aiuti.

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Adriana Carnelli

Adriana Carnelli

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