Giorni “pesanti” per l’ex presidente Donald Trump. Un fine settimana carico di tensioni politiche esplose a Dayton, in Ohio, dove ha fatto un apocalittico discorso in cui ha minacciato un bagno di sangue se non sarà eletto. Contrasti ai quali si sono intrecciati anche quelli delle banche che lo hanno scaricato. All’orizzonte si profila un futuro fosco e, se l’ex presidente non sarà eletto di nuovo alla Casa Bianca, per lui sarà difficile mantenere il suo vacillante impero. Nervosismo non solo dettato dalla situazione politica, ma anche da quella economica. E inevitabilmente, con la posta in gioco così alta, salgono anche i toni e la carica retorica nei suoi comizi pieni di astio per gli immigrati clandestini e per il Dipartimento della Giustizia che gli ha portato il conto per il suo disprezzo sul rispetto della legge.
Pesano su di lui e sulle sue società i sei giudizi di bancarotta del passato, fatti che lui minimizza, ma oggi non riesce a trovare una compagnia assicurativa che gli faccia da garante per il prestito da 454 milioni di dollari in contanti stabilito dalla sentenza del processo a New York per la truffa dei valori immobiliari gonfiati. Ogni giorno che rinvia il pagamento deciso dal tribunale gli costa 115 mila dollari di penali.
L’ex presidente vuole fare appello contro la decisione del giudice Arthur Ergoron, che durante il processo ha riempito di insulti, e ha tempo fino al 25 marzo per depositare i 454 milioni altrimenti l’Attorney General di New York, Letitia James, potrà ordinare il sequestro dei suoi beni. All’ex presidente sono rimasti sette giorni per evitare il tracollo del suo impero. Oggi i suoi avvocati hanno presentato una memoria difensiva di 4.919 pagine dopo aver contattato senza successo oltre 30 compagnie assicurative. Il fatto è che le società dell’ex presidente, dopo le sei condanne per bancarotta e la sua nota litigiosità giudiziaria, oltre ai bilanci incerti, non danno alle società finanziarie e assicurative quelle garanzie necessarie per ottenere oltre 550 milioni di dollari in contanti.
L’avvocato Alan Pomerantz afferma che Trump negli anni Novanta doveva 4 miliardi di dollari ai suoi debitori per i casinò falliti ad Atlantic City, compreso quasi un miliardo di cui era personalmente responsabile. Molti di quei debiti erano prestiti ottenuti da 72 banche. Pomerantz, che le ha rappresentate come gruppo, ha detto che su Trump fu fatto un calcolo pratico per non forzare la bancarotta personale su di lui. “Come creditori decidemmo che per noi valeva più da vivo che da morto. Non abbiamo voluto che andasse in bancarotta perché correvamo il rischio di perdere tutto. Decidemmo di chiedere la bancarotta solo per le sue società e non quella personale. Lo abbiamo tenuto in vita per riprenderci i soldi prestati perché era lui era il miglior venditore delle sue proprietà ed elaborammo un piano quinquennale per consentirgli di ripagare i suoi debiti”. Trump riuscì a sopravvivere ma l’onta delle bancarotte delle sue società lo ha marchiato per sempre nel mondo della finanza americana e nessuno da allora gli fa più prestiti.
Sebbene Trump si vanti spesso della sua ricchezza, il suo patrimonio netto deriva in gran parte dal valore dei beni immobili, che le compagnie assicurative soprattutto se i mutui non sono stati pagati, non accettano come garanzia. Vogliono contanti, azioni di società quotate in borsa od obbligazioni. Secondo quanto afferma il New York Times, Trump possiede al momento circa 350 milioni di dollari in contanti, una cifra notevole ma molto al di sotto di ciò di cui ha bisogno. A questo punto i suoi avvocati potrebbero decidere di rivolgersi alla Corte d’Appello di New York per ottenere più tempo, ma legalmente Letitia James potrebbe avviare la procedura di esproprio.
Il problema della liquidità dell’ex presidente è stato accentuato dopo che giorni fa ha dovuto dare in deposito 91,6 milioni di dollari in contanti per presentare l’appello nella causa per diffamazione contro la giornalista e scrittrice E. Jean Carroll.
Ed ecco che la pressione sulle sue finanze e quella sulla sua situazione politica esplodono nel suo rabbioso discorso di Dayton. “Se non sarò eletto sarà un bagno di sangue per il Paese”, ha affermato durante un comizio per sostenere il candidato al Senato Bernie Moreno, che si trova in una corsa a tre per la nomination repubblicana per sfidare il senatore democratico Sherrod Brown. Una dichiarazione fatta mentre prometteva di aumentare le tariffe sulle auto prodotte all’estero. Un comizio in cui Trump ha continuato con le sue bugie sulle elezioni truccate, e ha inasprito la sua retorica contro gli immigrati affermando che alcuni di loro, accusati di crimini, “non sono persone”.
In uno dei passaggi finali del comizio Trump ha parlato dei suoi sostenitori condannati per l’assalto al Congresso. Le ha definite “degli ostaggi” e “dei patrioti”. Ha tranquillizzato la sua platea MAGA aggiungendo tra gli applausi “Non vi preoccupate. Mi occuperò di loro il primo giorno che tornerò alla Casa Bianca”.
— Team Trump (Text TRUMP to 88022) (@TeamTrump) March 18, 2024
A Washington – scrive il Guardian – il mondo dell’intelligence è in allarme. Le continue sperticate lodi di Trump a Putin e quelle di Putin all’ex presidente li preoccupa. Trump con le sue manovre è riuscito a bloccare gli aiuti all’Ucraina e un suo ritorno alla Casa Bianca avvantaggerà Mosca e danneggerà la democrazia e gli interessi americani all’estero. Il Guardian ha intervistato alcuni analisti di politica internazionale che ricordano diversi episodi del flirt di Trump con Mosca: dall’ammirazione per il “geniale” capo del Cremlino ai dubbi sulle sue responsabilità nella morte di Alexei Navalny, dalla negazione delle interferenze di Mosca nelle elezioni USA alla condivisione da parte dell’allora presidente di informazioni classificate nello studio Ovale con dirigenti russi, fino alle minacce di non proteggere i Paesi Nato “morosi”.
“Trump vede Putin come un uomo forte. In un certo senso lavorano in parallelo perché entrambi cercano di indebolire gli Stati Uniti, ma per ragioni molto diverse”, ha sottolineato Fiona Hill, senior fellow della Brookings Institution ed ex dirigente della sicurezza nazionale nei primi due anni dell’amministrazione Trump. “Putin – ha proseguito Hill – preferisce di gran lunga il caos di Trump perché mina la democrazia negli Stati Uniti. Trump non è preoccupato per la sicurezza nazionale, è concentrato su se stesso. Ridimensionando il governo degli Stati Uniti e nominando persone leali, Trump si libererà di competenze vitali in materia di sicurezza”.
Timori accentuati dopo che la nuova direzione del partito Repubblicano vorrebbe ingaggiare come consigliere della sua campagna Paul Manafort, il suo ex campaign manager al quale ha concesso la grazia presidenziale alla fine del mandato dopo che era stato condannato per frode fiscale e bancaria nell’ambito dell’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate. Il Washington Post, afferma che Manafort dovrebbe giocare un ruolo nella raccolta fondi di Trump. L’assunzione di Manafort probabilmente riaprirebbe la discussione sulle interferenze della Russia nelle elezioni del 2016, che secondo Mueller furono “ampie e sistematiche”.