“Ci sono centinaia di persone che si sono accalcate alle nostre porte per chiedere rifugio”. Dal telefono, si percepisce chiaramente la preoccupazione di Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava N.P.H, che da tempo lavora ad Haiti per sostenere la popolazione. Ma la situazione è ormai precipitata: il presidente ad interim Ariel Henry ha annunciato le sue dimissioni e i gruppi armati ormai hanno preso il controllo de facto del governo a Port-au-Prince. Gli abitanti fuggono in massa alla ricerca di salvezza ,cibo e acqua. Le ultime istituzioni straniere ancora presenti, le Nazioni Unite e i diplomatici degli Stati Uniti ,hanno fatto rimpatriare i loro funzionari in queste ore. “Questa non è una guerra fra gang – spiega Rava, – ma è una lotta di potere che sfrutta i gruppi armati per imporre una nuova dittatura. E questi si accaniscono sui più deboli. Le agenzie internazionali devono intervenire immediatamente”.

Di fronte a questa emergenza, come vi state muovendo?
“Non possiamo intervenire. Ma abbiamo migliaia di feriti e ammalati dentro al nostro ospedale. Come riporta la direttrice, i medici fanno turni di una settimana ciascuno per non rischiare la vita tutti i giorni. Per il momento, riusciamo ancora a produrre ossigeno, depurare acqua e produrre uova e ortaggi. Inoltre, stiamo cercando di inviare quante più persone possibili in campagna per allontanarle dalla violenza. Fondazione Rava ha anche un’altra casa di accoglienza per bambini e al momento ne vengono ospitati più di mille, fra cui molti disabili. Continuiamo a resistere, ma è veramente difficile. Abbiamo bisogno di strumenti e di personale. Abbiamo convocato tutti i volontari che vorrebbero partire per andare a Port-au-Prince, ma non è possibile e troppo rischioso. Quando, qualche sera, fa ho sentito Padre Rick Frechette – il direttore della Fondazione -, mi ha raccontato che c’erano migliaia di famiglie accalcate fuori dalle nostre porte a chiedere aiuto e l’unica cosa che abbiamo pouto fare è stato distribuire lenzuola per permettere a tutti di dormire per terra”.
Per quanto riguarda il resto della città?
“Qui vicino, ci sono cinque campi profughi che stiamo aiutando. Si tratta di circa cinquemila haitiani a cui portiamo kit alimentari e soprattutto acqua perché non ce n’è abbastanza fra cucina e igiene personale. Quindi riforniamo le cisterne. Ma è difficile anche fornire approvvigionamenti da quando l’aeroporto e il porto sono stati chiusi e non arrivano nuove merci dall’esterno. Gli altri due ospedali della capitale, il St. Damien che ha 400 posti letto e il St. Luke, continuano a funzionare, ma siamo tutti oberati. Por-au-Prince sembra essere diventata la città fantasma”.
Che cosa intende?
“Siamo sull’isola dal 1987 e personalmente sono 25 anni che vado ad Haiti ad accompagnare volontari con la mia famiglia. È la mia seconda casa. Ho visto terremoti, ho visto dittature e guerre civili, ma non ho mai visto il Paese così com’è adesso. Le persone ormai vivono in strada cercando di vendere le poche cose che hanno. Le strade sono divenute anche teatro di uccisioni. Ci sono tanti cadaveri che rimangono senza essere rimossi perché le persone hanno paura ad avvicinarsi e temono di essere accusati di essere i responsabili. Tutti hanno paura di parlare. Nessuno parla. C’è chi lotta per il potere, chi per i soldi e chi per la vita”.
Che cosa chiedete?
“Il mio appello come Fondazione Rava è che cerchiate di aiutarci e donare tramite il nostro sito. Dobbiamo richiamare l’attenzione della comuinità internazionale perché noi che abbiamo seguito tutte le emergenze, prima in Ucraina e poi anche a Gaza, crediamo che questa di Haiti sia la più grave che si sta verificando. Questa guerra si impatta su un Paese dove non ci sonio infrastrutture né case né acqua potabile. Le persone già vivevano al di sotto della soglia consentita dei diritti umani. Come dice Padre Rick, per fare la differenza bisogna agire”.
Il dipartimento di stato Usa è pronto ad organizzare trasporti dei suoi cittadini intrappolati ma i mezzi aerei non possono atterrare a Port Au Prince ma solo a Cape Haitien.Chi è in grado di raggiungereb quella località senza incorrere in pericoli ha la speranza di esser evacuato per tutti gli altri la raccomandazione e di rimanre barricvati in casa in attesa che la situazione diventi meno esplosiva e pericolosa.
Molti dei cittadini ameicani che adesso sono bloccati stavano completamendo pratiche di adozione con diversi orfanotrofi
